Italia, un paese in svendita ecco il "coniglio" di Tremonti
 











"In vendita". Un cartello che dal prossimo anno rischiamo di trovare su autostrade e spiagge, cave, porti e aeroporti. Ma anche su aziende strategiche - e in attivo - come Enel, Eni e Finmeccanica. E magari persino sulle 13mila municipalizzate, di cui una parte cospicua della proprietà è dei Comuni. E pure su Bancoposta, che raccoglie la percentuale più alta di liquidità dei piccoli risparmiatori.
Nel giorno del compleanno del "caro leader" il ministro Tremonti ha pensato bene di organizzare un seminario a porte chiuse sulla vendita del Patrimonio Statale - rilanciando una proposta fatta in passato - in un contesto in cui si notava l’assenza del premier dovuta, pare, ai festeggiamenti per i suoi 75 anni vissuti pericolosamente. Il ragionamento emerso dal seminario è semplice e in quanto tale dannatamente sospetto e parte da un dato matematico: il patrimonio disponibile dello Stato è quasi uguale al debito pubblico. In sintesi, entrando nellalogica della cessione dei gioielli di famiglia, il Paese potrebbe in tempi brevi rientrare, secondo l’astuto inquilino di Via XX Settembre, nei parametri richiesti dalla Bce (un debito vicino al 60% al confronto dell’attuale 116% rispetto al Pil). Fare cassa insomma, vendendo o meglio svendendo, assi portanti del Paese a privati.
Secondo le grandi menti ministeriali, almeno il 40% dei beni dello Stato può essere dismesso immediatamente. Il solo patrimonio immobiliare è stimato, come valore, intorno ai 500 miliardi di euro, di cui circa il 10% potrebbe essere ceduto immediatamente. Si tratta, secondo i geni della finanza creativa, di 50 miliardi, a cui se ne potrebbero aggiungere altri 30 vendendo immobili pubblici destinati ad uffici o a sedi di enti pubblici.
Ovviamente l’assunto è quello dei dettami di Trichet/Draghi: riduzione degli organici delle amministrazioni statali e accorpamento di uffici.
Un’altra idea brillante è quella di vendere i diritti per l’emissione di Co2.Si tratta di un nodo che va preso terribilmente sul serio: oggi le aziende che emettono Co2 nell’aria, inquinando, devono pagare una somma proporzionale all’entità di tali emissioni, allo Stato. Secondo Tremonti, un privato potrebbe considerare remunerativo acquistare tali diritti, introito stimato di 10 miliardi di euro.
Altro tasto su cui premere è quello delle partecipazioni statali. Per le ferrovie, l’eventualità di una cessione totale è controversa, nonostante gli attivi dell’ultimo anno, dovuti soprattutto a un aumento indiscriminato delle tariffe, alla chiusura di tratte non remunerative - molte regionali e interregionali - e alla mancanza di assunzioni. Ma FS deve coprire i debiti pregressi e chi, pubblico o privato, volesse cimentarsi nell’impresa dovrebbe affrontare un notevole piano di investimenti che potrebbero essere compensati solo con un ennesimo ritocco alle tariffe. Di Poste Italiane si è già detto, mentre per Fintecnica (che comprende settori strutturali per unpaese degno di avere una politica industriale come Fincantieri) il guadagno potrebbe esserci perché varie aziende sono in condizioni floride malgrado la crisi. Una eventuale vendita però produrrebbe come primo effetto una forte ripercussione in campo occupazionale. Il ministro Tremonti e il suo capo economista della Cassa depositi e prestiti, Edoardo Reviglio, nel seminario hanno dato come cifra indicativa da raggiungere quella di 10 miliardi di euro annui. Secondo il ministro, già a gennaio prossimo dovrebbe nascere la Sgr (Società gestione del risparmio), si attende solo l’autorizzazione di Bankitalia per avere un corridoio pronto per chi ha capitali da spendere e utili da ricavare.
Nel seminario non si è per ora parlato dei beni artistici e culturali ma non stupirebbe che porzioni di territorio, non solo le spiagge, potrebbero essere messe sul mercato. A guardare con preoccupazione questa proposta è soprattutto la sinistra, ma scettici sulla sua efficacia sono anche gli analistidi Societè Genèrale, secondo cui la vendita di asset statali non sarebbe una cura efficace per la solvibilità di un Paese. Il ragionamento è semplice: si avrebbe un incasso una tantum, ma si perderebbe la rendita derivante da esso. Con le decantate privatizzazioni che si trasformerebbero quindi in un gioco a somma zero, in cui rimarrebbe invariata la posizione di solvibilità di medio termine del paese. Ma forse al medio termine, questo governo e soprattutto questo ministro non sono interessati.  Stefano Galieni









   
 



 
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