I mercati puniscono l’Ungheria, che di fronte al crollo del fiorino e agli investitori in fuga dai suoi titoli di Stato fa appello a Ue ed Fmi affinchè concedano «velocemente» il salvataggio. Ma la Ue, sostenuta dal Fmi, fa quadrato: l’indipendenza della banca centrale, messa a rischio dalle riforme volute dal premier Viktor Orban, «è un prerequisito indispensabile» per poter avviare un negoziato sugli aiuti. La pressione dei mercati su Budapest è altissima. La valuta nazionale è al minimo storico, con l’euro arrivato a oltre 324 fiorini. Budapest, in un segnale crescente di sfiducia dei mercati, ha nuovamente fallito un’asta di titoli di Stato, riuscendo a vendere soltanto 35 miliardi di fiorini contro i 45 miliardi programmati, e sborsando un tasso di poco inferiore al 10%, contro il 7,91% del mese scorso. Lo spread rispetto al bund tedesco viaggia a 850 punti base, e la borsa di Budapest chiude a -2,1%, allargando le perdite che proseguono dasettimane. Una situazione che rischia di allargare il teatro della crisi in atto in parte dell’area euro, e allo stesso tempo mostra che il vero detonatore della fuga di capitali da mezza Europa non è la moneta unica, ma le politiche nazionali: l’Ungheria, che non fa parte dell’euro, è stato il primo Paese dell’Ue a ricevere un salvataggio dal Fmi nel 2008, ben prima della Grecia. E Orban, discusso leader nazionalista dai toni anti-europei, rifiutò un nuovo salvataggio nel 2010 prima di fare dietro-front quando i mercati hanno iniziato a chiudere i rubinetti. «Ci rendiamo perfettamente conto della situazione, vogliamo un accordo con il Fondo monetario internazionale e, se necessario, cambieremo anche la legge controversa sulla banca centrale», assicura il ministro responsabile per il negoziato, Tamas Feregi, mentre gli analisti si esercitano sulle probabilità di una bancarotta. Ma Gyorgy Matolcsy, ministro dell’Economia corregge il tiro e, in una lettera indirizzata al presidentedella Bce Mario Draghi e al commissario Ue Olli Rehn, ribadisce che la legge sulla banca centrale appena entrata in vigore è «pienamente compatibile» con le norme Ue. Non la pensano così nè a Bruxelles nè a Francoforte. E, come spiega Chiara Manenti, analista dei titoli di Stato di Intesa Sanpaolo, qualsiasi trattativa per avere un prestito «deve contenere un cambiamento di quella legge»: la proposta di allargare il board della banca centrale «in realtà è irrilevante, visto che il governatore verrebbe eletto dal governo». Intanto, mentre i leader europei cercano la quadratura del cerchio per il ’patto di bilanciò che dovrebbe portare a un’unione fiscale (e negli auspici aprire a un potenziamento dei salvataggi nell’area euro), è ancora la Grecia a catalizzare l’attenzione dei mercati. A metà gennaio (tra il 14 e il 16) Atene riprenderà il negoziato con la ’troikà Ue-Fmi-Bce sulla prima tranche del nuovo pacchetto di aiuti da 89 miliardi di euro. Il premier, Lucas Papademos, ha evocatoun default incontrollato in assenza di un intesa. Sui mercati si guarda con apprensione alla data del 20 marzo, quando Atene, chiamata a rinnovare 14 miliardi di euro di titoli di Stato in scadenza, potrebbe vedersi costretta ad alzare bandiera bianca senza nuovi aiuti.
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