Sembra incrinarsi il rapporto di amorosi sensi, metaforicamente parlando, tra Mario Monti e l’establishment finanziario anglofono. Il Financial Times organo ufficiale della speculazione della City londinese, che in passato era stato quanto mai accomodante con il governo guidato dall’ex consulente della Goldman Sachs e di Moody’s, in un articolo apparso ieri, riferendosi ad un rapporto ufficioso della Commissione europea, solleva non pochi dubbi sulla riuscita della politica economica dell’esecutivo e sui suoi ambiziosi obiettivi e prevede la necessità di manovre aggiuntive. Se le parole hanno un senso e pure un peso, considerata l’influenza che la gazzetta della City riscuote nell’influenzare le decisioni di investimento di banche, società finanziarie e fondi pensionistici, oltre che quelle di semplici cittadini in cerca di titoli che offrano rendimenti costanti e di lungo periodo, la compiaciuta tirata del Financial Times può e deve essereletta come un siluro lanciato contro i nostri titoli di Stato e contro l’esecutivo del professore della Bocconi per spingerlo a fare di più sula strada della riduzione del debito e del disavanzo. Magari, ma questo è un fatto che diciamo da tempo, gli ambienti della City vogliono che la riduzione del debito pubblico venga attuata attraverso la vendita, o meglio la svendita, delle quote ancora pubbliche dell’Eni (30,32%), dell’Enel (31%) e di Finmeccanica (32%). Il tutto per completare la manovra avviata nel corso della Crociera del Britannia del 2 giugno 1992, quando all’Italia colpita dai primi vagiti di Mani Pulite, venne consigliato di aprirsi al Libero Mercato e di avviare il processo di privatizzazione delle società pubbliche. Poi, tanto per fare comprendere che non si trattava di uno scherzo, in autunno venne avviata la speculazione britannica e americana contro la lira che venne svalutata del 30%, permettendo un acquisto più conveniente delle imprese che in seguito venneromesse in vendita. Oggi il giochetto viene ripetuto ed è significativo che a guidare l’esecutivo italiano sia un Monti che agli ambienti anglofoni è molto legato sia per cultura economico-universitaria sia per le consulenze svolte. Escludendo che il FT non ami Monti, perché questo non è davvero il caso, si deve allora ipotizzare che si tratti di una sorta di gioco delle parti nel quale il copione è stato già scritto con il relativo felice, per loro, finale. Quello della svendita delle tre società in questione che l’esecutivo non avrà remore nel concludere entro la fine della legislatura e prima quindi delle elezioni del 2013 quando la nuova maggioranza potrà affermare di essersi dovuta piegare ad una operazione “dolorosa” ma “necessaria” per riportare in ordine i conti pubblici. Quale che sia la nuova maggioranza che governerà, centrosinistra, centrodestra o Grande Centro, non ci si deve fare troppe illusioni sul fatto che i loro esponenti possano provare un minimo di dignitànazionale o comprendere cosa sia la difesa della sovranità di un Paese come il nostro. Cosa implichi conservare alla politica la gestione delle fonti di approvvigionamento energetico, evitando che esse finiscano nelle mani dei concorrenti esteri, statunitensi, inglesi o anglo-olandesi, per non parlare dei francesi, che riusciranno così a tenere per il collo l’Italia. Basta pensare ad uno di quelli che viene indicati come uomo del futuro, come Pierferdinando Casini, che in passato ha più volte dichiarato che si dovrebbe vendere l’Eni per tappare i buchi di bilancio. Niente di imprevisto comunque. Casini appartiene di diritto a quel mondo di democristiani di destra che ai tempi di Enrico Mattei, negli anni cinquanta, avversarono la nascita dell’Eni e il suo successivo sviluppo e che avrebbero voluto lasciare alle majors anglofone la gestione della ricerca e dello sviluppo di idrocarburi per il consumo interno italiano. Oggi il teatrino si ripete e molti troppi politici lo recitano adocchi chiusi sperando di guadagnarsi apprezzamenti in quel covo di banditi legalizzati in bombetta, i peggiori esistenti, che è la City londinese. Nell’articolo del FT si afferma che gli “ambiziosi” obiettivi di riduzione del debito dell’Italia potrebbero essere compromessi dalla recessione e dagli alti tassi d’interesse, che potrebbero costringere il governo a varare nuove misure di austerità. Il quotidiano si riferisce ad un rapporto della Commissione europeo (non posso confermarlo, ha detto il commissario Olli Rehn) che riconosce all’Italia di avere ottenuto risultati di rilievo ma che poi aggiunge che quanto finora fatto non sarà sufficiente per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013. Indignata, o meglio seccata, la reazione di Monti che ha replicato che non serviranno manovre correttive mentre Corrado Passera ha ammesso che con l’austerità non si cresce. Al contrario, dopo aver messo in ordine i conti pubblici, è necessario, a suo dire, mettere in motomisure mirate per fare crescere l’economia e l’occupazione. Una linea politica che sta facendo proseliti in tutti i partiti di sinistra attualmente all’opposizione in Europa e che potrebbero arrivare presto al governo, in Francia quest’anno e in Germania nel 2013. f.ghira
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