DOGMI DEL LIBERISMO E CRISI EUROPEA.
La politica fallimentare dell’eurozona.
 







di Emilio Benvenuto




Nel piccolo Parlamento olandese, i cui membri non fruiscono di auto blu e di portaborse e scorte, la notizia delle dimissioni del premier è piombato come una vera bomba. Tutti hanno compreso che questa  storia riguarda, sì, l’Olanda, ma soprattutto l’Unione Europea.
Se Mark Rutte è andato al Palazzo Reale per rassegnare le sue dimissioni alla Regina Beatrice, è stato perché il suo alleato Geert Wilders si è ribellato ai diktat dell’Unione Europea, che tartassano – per sudditanza al risorto Reich tedesco – i Paesi aderenti. Tutto ciò è avvenuto nel Paese, che, pur fondatore con i confratelli del Benelux, la Francia, la Germania e l’Italia dell’Unione Europea, già nel 2005 ebbe a bocciare con un referendum popolare la progettata Costituzione europea.
Wilders  ha preferito difendere la gente comune, i ceti  medi, la classe lavoratrice, non ha accettato i tagli al bilancio imposti da Bruxelles a tutti i Paesi dell’Unione europea.
Chi sarà ora – ci si chiede - a fare la prossima mossa? Sarà forse Atene, Lisbona, Madrid, o Roma? Chissà se rivedremo più altri Paesi affollarsi a  chiedere il loro ingresso in Europa!
 La fine del secondo e l’inizio del terzo millennio avevano confermato il benessere olandese. L’Olanda, infatti, era nella prima fila dell’Europa virtuosa: bassissimo debito pubblico, deficit minimo, bassa disoccupazione (molto meno che in Germania). Cosa sia successo dopo, nessuno ha saputo spiegarlo chiaramente.
Sebbene banche siano andate in malora, soprattutto quelle che avevano inseguito  le fate morgane dell’euro, le reti protettive del libero mercato si fossero troppo allargate, etc.,, il debito, tuttavia, non è  insopportabile, la disoccupazione è  minore che altrove, l’Olanda è ancora tra i Paesi che mantengono un’alta reputazione. Ma è pure essa in recessione. Il deficit si aggira al 4, 5 % del prodotto interno lordo e nel 2014 potrebbe toccare il 6 %: undisastro, sanabile, secondo Bruxelles, solo con tagli chirurgici: per questo Wilders, leader del PVV (Partito per la Libertà) ha tolto l’appoggio esterno alla coalizione governativa liberal-democristiana.
Wilders, degli improperi liberali, degli avversi sondaggi, come già ha  fatto delle minacce di morte mossegli dagli integralisti islamici, sembra altamente infischiarsene e dichiara: “L’euro non è nell’interesse del popolo olandese, vogliamo essere padroni in casa nostra e così diciamo sì al fiorino. Restuitecelo”.
L’opposizione non è dunque estemporanea, ma l’espressione di una linea precisa che valica le frontiere e arriva fino ad Atene, Lisbona, Madrid e Roma e forse anche fino a Parigi. Il suo è un lucido pragmatismo, che lo induce a calcolare  attentamente ogni mossa. Il suo “no” ufficiale all’euro e l’auspicio d’un ritorno  al vecchio fiorino sono frutti d’una accurata ricerca sui costi della sopravvivenza, o della morte, dell’eurozona.
Questa ricercadice molto anche del nostro Paese: difficilmente l’eurozona potrà sopravvivere oltre il 2015 e occorrerebbero 1,3 trilioni di euro per tenere in piedi gli Stati dell’Europa mediterranea e 2,4 trilioni di euro se Italia e Spagna chiedessero un intervento in  soccorso dei loro titoli di Stato. Dell’Italia, in particolare, dice che la sua uscita dall’eurozona le sarebbe relativamente facile e che essa si riprenderebbe presto, una volta riguadagnata la libertà valutaria.
Ma riuscirà Geert Wilders a spiegare tutto questo a Mario Monti, Impegnato, proprio in questo periodo di crisi economica, a tentar di risolverla secondo le ricette di quel liberismo, che credevamo nel primo dopoguerra (1918-39) morto e sepolto e i cui dogmi la storia economica ha sempre nei fatti ignorato o smentito.









   
 



 
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