I banchieri non vogliono vedere i motivi della crisi
 











L’Italia è messa meglio della Spagna dal punto di vista della solidità del sistema creditizio e di conseguenza le nostre banche non avranno bisogno di nuove iniezioni di risorse finanziarie per essere ricapitalizzate né tantomeno di aiuti internazionali come quelli che l’Unione europea ha concesso a Madrid.
Oltretutto, ha affermato il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, negli ultimi mesi il governo ha fatto quanto era necessario per salvare l’Italia. Voleva dire Passera, metterla al riparo dalle tensioni finanziarie sui nostri titoli pubblici decennali, i Btp. Dove le citate “tensioni” sono in realtà le speculazioni dei mercati anglofoni, la City e Wall Street, che hanno riportato in alto, quasi ai livelli dell’era di Tremonti e di Berlusconi, il differenziale di rendimento (spread) con i Bund tedeschi.
Una dimostrazione che l’anglofono Monti può godere di un periodo di tregua se fa quello che deve fare. Ma se non lo fa nei termini(riforma liberista del lavoro) e nei tempi rapidi auspicati a Londra e Washington, l’Italia torna sotto tiro e la sua poltrona torna a traballare.
A giudizio di Passera (ex amministratore delegato di Intesa-San Paolo), l’Italia ha dimostrato grande disciplina soprattutto sul fronte dei conti pubblici e questo farebbe di noi uno dei Paesi che meglio possono affrontare il turbine finanziario nel quale   l’Europa si trova oggi e per riconquistare ulteriore credibilità sui mercati. Certo, ha ammesso, il rigore dei conti non basta ed è necessaria la crescita economica. E qui Passera si è arrampicato sugli specchi e, non potendo negare che la recessione continua e la disoccupazione è in aumento, nonostante Monti e proprio a causa di Monti, ha rivendicato al governo di avere varato norme “rilevanti” per aiutare le imprese a creare posti di lavoro. Norme che in realtà sono state pensate per permettere alle imprese di licenziare a piacimento e di assumere nuovo e più giovanepersonale da pagare meno in sostituzione di quello più anziano e più costoso da mandare invece a casa.
Alle imprese comunque non può bastare la libertà di licenziamento promessa dal disegno di legge della Fornero, ancora non approvato, se poi le banche italiane non fanno più prestiti, preoccupate come sono di utilizzare i miliardi di euro di prestiti ricevuti dalla Bce per ricapitalizzarsi e rifarsi delle perdite subite da investimenti e speculazioni andate a male su titoli “tossici”, spazzatura o similari. Eppure si trattava di prestiti triennali ad un tasso dell’1% annuo che di fatto hanno rappresentato un vero e proprio regalo.
L’avarizia delle banche, perché di questo si tratta, non può piacere ad Alberto Meomartini, presidente di Assolombarda, che ha osservato molto polemicamente che i vertici delle banche dovrebbero fare coincidere le dichiarazioni tutte rose e fiori dei loro vertici con i comportamenti dei loro funzionari, quelli insomma che concedono i crediti chedovrebbero dimostrare di saper vedere di più e meglio sul medio e lungo termine e di avere più competenza nel valutare le attività delle aziende e la loro situazione patrimoniale e finanziaria. Sono necessari, ha insistito Meomartini, interventi per tornare ad una  situazione normale sul mercato del credito. Si tratta di uno dei problemi più sentiti dalle imprese e che si lega in maniera perversa con le carenze di liquidità prodotte dai ritardi di pagamento dei clienti privati e soprattutto delle amministrazioni pubbliche. Una deriva che penalizza in particolare le piccole imprese manifatturiere. Non si può rischiare, ha ammonito, di perdere pezzi importanti e vitali del nostro tessuto produttivo a causa di squilibri temporanei di cassa che sono indipendenti dall’azione e dalla volontà delle aziende,.
A confermare lo stato recessivo dell’economia italiana c’è il dato sulla dinamica delle partita Iva. In aprile ne sono state aperte 46.337 con una flessione del 3% sul 2011 e del25,8% su marzo. Dà da pensare soprattutto la loro qualità considerato che il 77% di esse si riferiscono a persone fisiche, o società individuali, o nuovi professionisti o ex dipendenti costretti a trasformarsi in lavoratori autonomi. Solo il 14,8% riguarda società di capitali. Insomma, non si creano più nuove imprese. Il 50% del totale riguarda poi società di servizi a conferma che il settore produttivo è in crisi (registra infatti un  8,9% in meno) e che l’Italia si sta trasformando in un semplice mercato di assorbimento di produzioni estere.Filippo Ghira









   
 



 
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