Molte chiacchiere, molte dichiarazioni più o meno roboanti. Faremo, interverremo e compreremo titoli pubblici dei Paesi a rischio e con lo spread troppo alto rispetto ai Bund. Poi ieri, alla riunione del direttivo della Banca centrale europea, Mario Draghi si è rimangiato tutto, ha dovuto prendere atto del deciso no tedesco e ha rimesso in naftalina, rinviandola a metà settembre ogni decisione su quelli che ha definito “interventi non convenzionali” sui mercati obbligazionari ma per i quali non ha previsto una tempistica. La Bce quindi non effettuerà tali acquisti e non finanzierà i fondi salva Stati (Efsf e Esm) per farlo al suo posto. Il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, appena due giorni fa, aveva avvertito Draghi di tenere presente che il primo compito della Bce è quello di tenere sotto controllo la dinamica dei prezzi e che oltretutto immettere altra liquidità nel sistema rischia di far crescere il livello dell’inflazione. Il nodella Bundesbank che è andato ad aggiungersi a quello di Angela Merkel, ha costretto l’ex vicepresidente europeo della Goldman Sachs a prendere atto che la Bce non è autonoma e che se i tedeschi mettono il veto, tutto finisce per bloccarsi. Certo, c’è da ricordare che il no della Germania non è soltanto legato ad un rifiuto di creare un precedente considerato pericoloso, perché darebbe l’idea che i Paesi cicale dell’area Sud potranno sempre essere salvati e gli elettori tedeschi lo farebbero pagare alla Merkel nelle elezioni del 2013. Ma si tratta anche di una giustificazione tecnica. L’approvazione dell’Esm, il fondo permanente, da parte del Bundestag è stato bloccato da un ricorso della Linke alla Corte Costituzionale. Se ne riparlerà quindi nella seconda metà di settembre. Nel frattempo la Germania ha avuto gioco facile nel ricordare ai Paesi cicale che devono tagliare la spesa pubblica, ridurre debito e disavanzo e realizzare le riforme strutturali che serviranno a cogliereal volo i primi segnali di una vera ripresa economica. L’unica misura praticata dalla Bce è stata quella di confermare il tasso di riferimento allo 0,75%. Per tutta risposta, lo spread tra Btp italiani e Bund è salito a 509 punti dopo i 456 in apertura delle contrattazioni e pure le Borse europee ne hanno risentito con consistenti ribassi. La marcia indietro di Draghi è peraltro attestata dalle sue dichiarazioni iniziali in conferenza stampa quando ha ricordato il mandato attribuito alla Bce “per mantenere la stabilità dei prezzi nel medio termine” bilanciato dalla “sua indipendenza nel determinare la politica monetaria”. In ogni caso un nulla di fatto. Il presidente della Bce ha ammonito i governi ad essere pronti a chiedere l’intervento dei fondi Efsf e Esm qualora fosse necessario. Questo perché, ha ammesso, un livello così alto di spread tra taluni titoli e i Bund tedeschi è inaccettabile. Resta il fatto che la scelta dell’euro deve essere considerata irreversibile. Unarichiesta di maggiori poteri da attribuire alla Bce è stato il messaggio implicito di Draghi che ha osservato che oltre allo spread alto è la frammentazione finanziaria che frena un’efficace trasmissione della politica monetaria. Affermazione che implica che i Paesi europei devono accettare che la Commissione europea realizzi una unificazione e un accentramento delle politiche fiscali e di spesa, quindi delle entrate e delle uscite, che vi sia una reale unione monetaria con una Bce investita di poteri ancora maggiori degli attuali, che vi siano insomma quelli Eurobond che implicano una condivisione del debito degli Stati membri e che la Germania ha fieramente respinto. Draghi ha ricordato il no della Bundesbank all’acquisto di titoli pubblici, sottolineando che il suo discorso a Londra della scorsa settimana non doveva essere inteso in quel senso. In ogni caso, ha concluso, la Bce è pronta a mettere in campo nuove misure “non standard”, nelle prossime settimane. Quali? Ma è ovvio.Nuove emissioni di liquidità del tipo Ltro, ossia nuovi prestiti triennali alle banche al tasso di interesse dell’1% annuo, dopo quelli per 1.000 miliardi concessi tra novembre e febbraio. Soldi che dovevano servire a finanziare cittadini e imprese ma che sono stati invece usati per ricapitalizzarsi e rifarsi delle perdite subite a cause di speculazioni andate a male. Del resto, a che serve la Bce, se non a difendere gli interessi dell’Alta Finanza?Filippo Ghira
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