Il governo vede una crescita che non potrà esserci
 











Dopo il ministro per gli Affari europei, Enzo Moavero, che aveva affermato di vedere una ripresa economica già a partire dall’anno prossimo, grazie alle misure liberiste varate dal governo, anche il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, ha dichiarato di condividere tale entusiasmo.
Una previsione più che ottimista che si scontra però con quella di Confindustria che con il suo presidente Giorgio Squinzi, che ha il polso della situazione reale, ha spiegato che si dovrà invece attendere fino al 2015.
La crescita, ha sostenuto l’ex direttore generale del Tesoro, salito di grado, è una parola che tutti vorremmo realizzare. Ma il governo non ha la bacchetta magica perché siamo sempre vincolati a mantenere in equilibrio il bilancio.
Tradotto in linguaggio comune, Grilli conviene sulla considerazione condivisa dalla maggioranza degli italiani che introducendo nuove tasse, come la famigerata Imu sulla prima casa, e tagliando la spesa sociale, sitolgono soldi ai cittadini, diminuisce la domanda interna e ne risente pure la crescita economica.
Tanto è vero che Grilli ha aggiunto che per la crescita servono meno tasse sul lavoro e sulle imprese. In attesa di abbassare la pressione fiscale, Grilli si è attaccato alle speranze sostenendo che l’attività economica dovrebbe tornare a espandersi già nella prima parte del 2013, anche se con ritmi molto contenuti, per poi accelerare gradualmente  nella seconda metà dell’anno. Il tasso di crescita, ha insistito, sarà superiore all’1% e questo si verificherà grazie alla stabilizzazione del quadro economico e finanziario internazionale e, ovviamente, all’effetto dei rilevanti interventi strutturali operati dal governo. Ancora meglio nel 2014 (con un +1,1%) e nel 2015 (+1,3%). Come si possa fare una simile previsione lo sanno soltanto gli esperti, si fa per dire, del Ministero che giocano con quella scienza basata sul nulla che è l’econometria. Soprattutto perché questo annoregistreremo un calo del 2,4% sul 2011. C’è stato infatti un calo della domanda interna ed una variazione negativa delle scorte che denota che le imprese, fiutando l’aria che tira, non hanno investito sul magazzino.
Il Documento economico e finanziario (Def) prevedeva invece un miglioramento ed era basato sulla previsione fatta da diversi organismi internazionali (Commissione europea e Bce) che si sarebbero attenuate le tensioni (ossia le speculazioni) sui mercati finanziari. Ci sarebbe da replicare che se questo non si è verificato quest’anno, non si vede perché debba realizzarsi nel prossimo biennio. Si tratta infatti di una stabilità dei mercati che il governo vede soltanto nei propri sogni. Oltretutto, nelle analisi ufficiali che vengono fatte, si ignora bellamente il ruolo della finanza anglofona che da anni ha messo sotto tiro i nostri titoli di Stato portando in alto il differenziale di rendimento dei Btp decennali con i Bund tedeschi. Se non ci fosse stato questo rialzodello spread, ha sostenuto Grilli, se non ci fosse stato questo calo della ricchezza delle famiglie, avremmo avuto uno 0,5% di miglioramento della crescita. Quindi un meno 1,9% invece di un meno 2,4%. Certo, ha ammesso ancora, è calata la fiducia di consumatori e imprese. Tutti elementi che devono spingere ad operare per un rilancio economico sia nel breve che nel medio lungo periodo che passerà dall’ulteriore rafforzamento delle misure varate dal governo per accrescere la produttività del Paese. Affermazione che deve essere interpretata nel senso che il governo, attraverso la libertà di licenziamento introdotta dalla Legge Fornero, punta ad incentivare le imprese ad assumere nuovo personale sapendo che potrà mandarlo via in ogni momento. E che intende concedere ulteriori facilitazioni in tal senso.
Resta il fatto che per il governo l’obiettivo primario è la riduzione del debito pubblico attraverso le dismissioni, in altre parole la svendita, di buona parte del patrimonio pubblico.Al quale si aggiungerà quella delle imprese ancora sotto controllo statale, tipo Eni, Enel e Finmeccanica, come era stato richiesto dall’Alta Finanza anglofona che proprio con tale obiettivo ha speculato contro l’Italia. Non è un caso che a guidare l’attuale esecutivo sia un ex consulente della Goldman Sachs come Mario Monti.
Già dai prossimi mesi, ha assicurato Grilli, saranno attivati gli strumenti creati per procedere alla valorizzazione e successiva dismissione del patrimonio dello Stato, sia degli immobili sia delle partecipazioni pubbliche. Appunto. Così potremo vedere il controllo dell’Eni ceduto ai concorrenti esteri anglofoni (la Exxon?) e la sua sede legale ed operativa trasferita all’estero. Svolta che provocherà il sommo gaudio della Commissione europea che, aprendo una procedura di infrazione, ha messo sotto accusa la nostra “golden share”, un meccanismo legale che a fronte di una quota pubblica (il 30% di Eni ed Enel) di un’azienda strategica consente di indirizzarnela gestione nominando gli amministratori e di imporre che la sede legale resti in Italia. Una linea che ai tecnocrati di Bruxelles non piace, collusi come sono con gli interessi atlantici.Filippo Ghira









   
 



 
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