Eurozona, l’economia peggiora e le Borse affondano
 











L’economia europea va peggio del previsto e manda a fondo le Borse. Il sogno di una «ripresa molto graduale» nella seconda metà del 2013, vagheggiato la settimana scorsa davanti al Parlamento Europeo dal presidente della Bce, Mario Draghi, non trova per ora riscontri nella realtà. Anzi, sta succedendo il contrario. L’ultima conferma arriva dall’indice Pmi che misura l’attività economica nei servizi e nel manifatturiero nell’Eurozona. Ebbene, a febbraio questo indice è sceso a sorpresa a 47,3 da 48,6 di gennaio, continuando a segnalare un declino e deludendo le attese degli economisti per un miglioramento a 49,0.
Immediato il contraccolpo sui mercati finanziari. A guidare i ribassi è, ancora una volta, la Borsa di Milano (-2,9%), seguita da quelle di Francoforte (-1,9%), Parigi (-1,88%) e Madrid (-1,7%). Piazza Affari paga anche le tensioni legate alle incertezze sull’esito delle elezioni in Italia, come dimostra il forte calo del titolo Mediaset(-4,62%).
Prima ancora che uscissero i dati sull’indice Pmi, a innervosire gli investitori europei (e non solo) erano state le notizie, provenienti dagli Stati Uniti, sui dubbi all’interno della Federal Reserve sul piano di stimoli all’economia fin qui seguito. Dubbi che farebbero temere un innalzamento a marzo dei tassi di interesse e un cambiamento del “quantitative easing”, ossia della linea di acquisti sul mercato di titoli di Stato e obbligazioni portata avanti dal presidente Ben Bernanke. Difficile che la Fed volti pagina, anche perché Bernanke gode di un ampio consenso nel board della banca centrale americana. Tuttavia, è bastato che alcuni membri del Fomc (il comitato che decide la politica monetaria della Fed) ipotizzassero cambiamenti nel “ritmo degli acquisti di asset” e sottolineassero i rischi che derivano dal mantenimento di un costo del denaro vicino allo zero, per instillare nella mente degli operatori finanziari il dubbio che il “quantitative easing” potrebbe finireprima del previsto. Risultato: la Borsa degli Stati Uniti ha incassato una perdita dello 0,8%, con l’indice Dow Jones che ha registrato la peggior performance giornaliera del 2013, tornando sotto quota 14 mila punti.
Oggi la Banca centrale europea ha reso noto di avere acquistato, fra il 2011 e il 2012, titoli di Stato italiani per 102,8 miliardi di euro, ovvero la quota maggiore fra i paesi dell’Eurozona beneficiari dell’Omt. A seguire ci sono la Spagna (44,3 miliardi), la Grecia 33.9), il Portogallo (22,8) e l’Irlanda (14,2). Allora la Bce intervenne per aiutare i paesi nel mirino della speculazione. Tuttavia per l’ec0nomista Emiliano Brancaccio, tra le politiche espansive seguite dalla Fed negli Stati Uniti e quelle restrittive della Bce in Europa c’è ancora «una forchetta molto significativa» che rimarrebbe tale anche qualora la banca centrale americana decidesse di innalzare di un pochino il costo del denaro. «Prendiamo - dice Brancaccio - il tasso di rifinanziamento, quellosulla base del quale vengono concessi i prestiti alle banche. Tra quello della Fed e quello della Bce c’è un differenziale dell’1%. Inoltre, la Fed interviene anche sui titoli a lungo termine, mentre la Bce solo sui titoli a breve termine (la durata media residua del debito italiano in pancia all’Eurotower è di quattro anni e mezzo ndr)». Questo spiega anche perché il dollaro sia molto deprezzato rispetto all’euro. E spiega anche perché, qualsiasi decisione il board della Fed assumerà a marzo, il sostegno all’economia americana non dovrebbe venire meno.
L’istituto di Francoforte ha anche comunicato che nel 2012 lo stipendio base di Draghi è stato di 374.124 euro, più del doppio di quello di Bernanke (199.700 dollari). La settimana scorsa, durante l’audizione al Parlamento Europeo, il numero uno dell’Eurotower aveva detto che la Bce è consapevole dei problemi che possono essere causati «dal protratto periodo di tassi ultra bassi e dalle liquidità facili», come l’esplosione di bollefinanziare o una ridotta attenzione delle banche nel valutare l’affidabilità creditizia di imprese e persone a cui concedono prestiti.
Probabilmente il fatto di lavorare a Francoforte condiziona un po’ le valutazioni di Draghi. Forse in Germania le banche tedesche ancora concedono prestiti e mutui con una certa disinvoltura. In Italia, le cose non stanno esattamente così, come ben sanno i piccoli imprenditori e le giovani coppie che magari vorrebbero acquistare una casa ma non possono, perché hanno contratti precari e i soldi non glieli presta nessuno. «La crisi - spiega ancora Brancaccio - produce un paradosso: quanto più ci si trova in una situazione di fragilità economica, tanto più le banche diffidano della solvibilità delle imprese. Per cui il credito viene meno proprio nel momento in cui ce n’è più bisogno. Ciò favorisce i capitali forti, quelli che hanno un numero maggiore di risorse disponibili, a scapito dei capitali deboli». In realtà «si dovrebbe capire - prosegueBrancaccio - che, quando la crisi è così violenta, la politica monetaria e creditizia da sola non risolve i problemi. Bisognerebbe quindi che la Bce, piuttosto che erogare credito alle banche private cercando di farlo arrivare alle imprese - e spesso non ci arriva - desse soldi allo Stato. Perché è attraverso l’attivazione degli investimenti pubblici per il rilancio dell’economia che il circuito monetario si riattiva».Roberto Farneti

 









   
 



 
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