Giungono dall’Asia altri segnali di impatto economico della Cina popolare. Varie le concause di una crisi emergente che sta mettendo in gioco la validità del sistema economico cinese. Oltre alla nota reciproca catena valutaria dollaro-yuan, (con l’impossibilità di Pechino di ottenere rivalutazioni della moneta in presenza di un’enorme tesaurizzazione delle entrate in dollari, per la gran parte destinate all’acquisto di beni e risorse e ad investimenti all’estero) e al moltiplicarsi di situazioni di crisi occupazionale (complice la politica della denatalità e la crescita esponenziale di rivendicazioni salariali interne), gli altri due corollari – la sovraccapacità produttiva e il crollo degli utili (meno 98% su base annuale) dovuti alla notevole contrazione delle esportazioni – fanno crescere nella dirigenza comunista della Cina popolare i timori di implosione sociale ed economica, del modello “liberalcomunista”. Più che sul fronte dellelavorazioni manifatturiere, cresciute a dismisura su sollecitazione occidentale con la sciagurata politica delle delocalizzazioni, ma comunque ancora solide, è nel settore dell’industria pesante che più si avverte il divario tra capacità produttiva e utili da ricavi. In particolare, come reso noto dal South China Morning Post, quotidiano di Hong Kong, è il settore dell’acciaio in Cina a soffrire i maggiori problemi e conseguenti rischi. L’’attuale capacità produttiva delle acciaierie cinesi è pari a 900 milioni di tonnellate annue, a fronte di una produzione nel 2012 di acciaio grezzo di 716 milioni di tonnellate. Per contro la produzione mondiale di acciaio è stata pari a 1.548 milioni di tonnellate. Fino a non molti decenni fa il dato sulle tonnellate di acciaio prodotte era uno dei maggiori parametri di paragone tra le diverse economie mondiali (perché non distorto da tassi di cambio valutari variabili ed a volte arbitrari). Nell’Europa della Comunità, peraltro, fu proprio ilsettore dell’acciaio (pensiamo alla stolta dismissione dell’Italsider voluta da Andreatta e da den Miert) al quale si può far risalire il principio del declino economico complessivo. La capacità produttiva dell’acciaio rimane così rilevante come indicatore economico reale. In Cina, il trasferimento della distorsione monetaria fa sentire il suo peso proprio su questo comparto, nonostante la non crisi, attuale, del settore edilizio cinese. I dati parlano chiaro: in primis la produzione cinese di acciaio lo scorso anno è stata il 46,25% di quella mondiale, laddove la popolazione cinese è meno del 20% (il 19,2%) di quella mondiale. E la Cina importa sia minerale di ferro che energia, con buona parte degli impianti basati su tecnologie obsolete. E quindi inquinanti e/o venefiche. Il secondo fattore determinante è quello del tasso di cambio degli ultimi venti anni, da quando nel 1994 fu fissato, arbitrariamente, ad un valore svalutato di circa il 45% rispetto alla parità di poteredi acquisto (Ppa) dello yuan rispetto alla media delle valute estere. Livello mantenuto tale da venti anni. La non convertibilità dello yuan, è stata significativa in un regime di eliminazione dei dazi doganali imposta dagli accordi del Wto, l’Organizzazione Mondiale del Commercio in un grande Paese forzato a trasformare gradualmente la sua economia pianificata in una economia di “libero mercato”, aperta al modello capitalista, globalizzata. Nonostante il “correttivo” di un regime economico che beneficia, grazie al tasso di cambio, di un sussidio sulle esportazioni pari al 45%. E’ così la “distorsione monetaria” (remimbi)yuan-dollaro che ha permesso il “miracolo economico cinese”, di certo non competitivo, in realtà, con quello delle nazioni puiù avanzate dell’Occcidente. Tale sviluppo, diciamo così, “drogato ovviamente non ha riguardato soltanto l’industria siderurgica, ma più o meno tutti i settori ed in particolare quello dei minerali industriali, dei metalli, delle materieprime e dei prodotti industriali di base. Ma ora la crescita economica - che deve mantenersi a livelli molto elevati per evitare che il già forte scontento popolare nelle varie provincie della Cina si coalizzi a livello nazionale e rovesci la casta comunista al potere – deve affrontare il problema irreversibile della saturazione della domanda mondiale, e ciò significa che il regime cinese non può più traslare all’esterno le sue crisi sociali ed economiche interne. Lorenzo Moore
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