Beatles in Italy, giorni di felicità rock’n’roll
 







di Flaviano De Luca




Se avete voglia di compiere un viaggio nel tempo, semplicemente sfogliando un libro, guardando fotografie in bianco e nero in gran parte inedite, ritrovando il clima allegro e spensierato di una gioventù ancora innocente e poco etichettata, accostatevi con fiducia a The Beatles Italian Tour, il libro di Luigi Luppola e Alberto Durazzi, uscito per la Coniglio Editore (150 pagine, 32 euro, centinaia di fotografie, tutte in bianco e nero) che vi catapulta nel mezzo degli anni Sessanta, con i ragazzi in camicia bianca e pantaloni senza cintura, le ragazze con acconciature di capelli molto elaborate e gonne rigidamente al ginocchio. Ideato in occasione dei quaranta anni dei concerti italiani dei Fab Four, con l’aiuto dell’Official Beatles Fan Club Pepperland, il volume di grande formato si sofferma sulle tre tappe -Milano, Genova e Roma- del tour del 1965, l’anno in cui il Festival di Sanremo lo vinse Bobby Solo con Se piangi se ridi e Rita Pavonevendette trecentomila copie del 45 giri Che m’importa del mondo, a segnare la clamorosa distanza tra la nostra scuola melodica e il nuovo vento beat o pop che veniva dall’Inghilterra ma che aveva trovato poco spazio sino ad allora nelle nostre classifiche di vendita e meno che mai tra i bacchettoni della Rai che snobbava i loro dischi e non mandava in onda i loro show musicali (solo nell’ottobre di quell’anno arriverà la fresca e originale Bandiera Gialla, la trasmissione di novità discografiche di Arbore e Boncompagni).
Nel giugno 1965 i Beatles erano già famosi in gran parte dell’emisfero occidentale, avendo venduto centinaia di milioni di dischi (coi loro successi da Love me do, il primo, a tutti gli altri come Tell me why e She loves you) e ottenuto grande successo anche negli States (la loro esibizione all’Ed Sullivan Show, nel settembre 1965, è reperibile su dvd) e in celluloide (il film A Hard’s Day Night, intitolato da noi Tutti per uno, ebbe ottimi incassi dappertutto),perciò il loro manager Brian Epstein decise di allargare il bacino d’ascolto abituale portandoli ad esibirsi in mercati difficili come Spagna, Francia e Italia. Fu un baffuto e intraprendente «impresario di spettacoli», Leo Wachter, triestino d’origine e milanese d’adozione, a siglare il contratto col quale si assicurava per una settimana le prestazioni del quartetto (e poi portò nella penisola i Rolling Stones e Jimi Hendrix, inventando dopo anche il magnifico teatro Ciak). Organizzò in proprio la data al velodromo Vigorelli e si mise d’accordo con promoter locali per dividere l’onere finanziario del minigiro d’Italia che riscosse un notevole successo dovunque inventandosi una prevendita artigianale e arrivando persino a mettere dei tagliandi-sconto sui due periodici giovanili dell’epoca, CiaoAmici e BIG.
Arrivati alla stazione ferroviaria di Milano (con un treno rapido T.E.E., Trans Europa Express, proveniente da Lione), i quattro «scarafaggi» furono oggetto delle consuete scenedi entusiasmo e isterismo collettivo di migliaia di ragazzi e dovettero allontanarsi per un’uscita secondaria onde evitare la folla in attesa. Un’accoglienza caldissima che si ripetè anche a Genova e Roma, con appostamenti dei supporter più sfegatati. La band e gli accompagnatori (i tre responsabili della sicurezza trasportavano anche gli strumenti) erano in tutto nove persone compresi Epstein e la segretaria Wendy Hanson, l’unica del gruppo a conoscere l’italiano.
Tuttavia lo sbarco nella penisola dei Fab Four fu caratterizzato da un atteggiamento contraddittorio, da un lato folle di giovani osannanti dall’altro l’atteggiamento critico e conservatore della stampa, ecco qualche eempio «Essi non sanno scrivere una nota di musica e hanno composto le loro sessanta canzoni fischiettandosi delle arie che poi imparano a memoria" (Gente, 24 giugno) o quotidiani come Il Tempo e il Corriere Lombardo che ironizzavano su «cavernicoli, zazzeruti, ragazzi coi capelli da donna» o «sono pocooriginali, con esibizioni di bruttezza, di malagrazia» e musicisti come Gorni Kramer «tra vent’anni nessuno dirà c’erano una volta i Beatles, che hanno lasciato cose meravigliose... Anche i Beatles hanno già trascorso il loro momento migliore».
E veniamo agli otto concerti, abitualmente preceduti dall’esibizione di gruppi italiani come Peppino Di Capri, Guidone e i New Dada, quasi la preistoria del sound con un impianto per le voci, le chitarre elettriche con gli amplificatori Vox e la batteria, col risultato di un suono grezzo e discontinuo, spesso coperto dall’entusiasmo urlato deifan. «Il momento tanto atteso è giunto: signore e signori, i favolosi Beatles» annunciarono i presentatori Rossella Como e Lucio Flauto. Eccoli i quattro ventenni inglesi, tutti in abito scuro, camicia bianca e cravatta con John Lennon, unico col berretto blu, e Ringo Starr seduto dietro la batteria Ludwig col logo del gruppo, alle pareti le scritte abbastanza piccole degli sponsor. E via con Twist andshout, l’attacco scatenato e destinato a scaldare la platea di spettatori, seguito poi da She’s a woman, I’m a Looser, Cant’t Buy My Love. Ogni tanto Paul e John affiancati si lanciano nei giochetti vocali, nei ritornelli un po’ sospesi.
Non esistono dati ufficiali ma generalmente si ritiene che i Beatles totalizzarono poco meno di 55 mila spettatori nelle date italiane così suddivise, 27 mila al Velodromo Vigorelli di Milano, 16 al Palazzo dello Sport Genova e 10,5 al teatro Adriano di Roma, allora si facevano due concerti al giorno: uno al pomeriggio e uno alla sera. La loro durata era però breve, quaranta-cinquanta minuti. (A Roma furono negati sia lo Stadio Flaminio che il Palazzo dello Sport e si ripiegò sul teatro di piazza Cavour, dove si fecero quattro spettacoli, due domenica 27 e due lunedì 28 ma solo quello serale del 28 giugno fece il tutto esaurito. Nella capitale i prezzi dei biglietti erano più alti, 4 e 5 mila lire per la diurna, 5 e 7 per la serale mentre a Milano eGenova c’erano biglietti da mille, 2, 3 e 4 mila lire). Così la scaletta dei Beatles prevedeva dodici pezzi quasi tutti sparati uno dietro l’altro, con qualche parola di saluto in italiano di Paul e l’annuncio del titolo della canzone, gli altri brani presentati erano Baby’s in Black, I Wanna Be Your Man, Hard Day’s Night, Everybody’s Trying to Be My Baby, Rock’n’Roll Music, I feel Fine, Ticket to Ride(con un assolo alla chitarra di George), Long Tall Sally. Le ragazze piangono e urlano ma fortunatamente non svengono, un operatore della Rai riesce a filmare pochi minuti del concerto per proprio ricordo personale, mamme e papà aspettano dietro le transenne.
La pubblicazione è in edizione bilingue, italiana e inglese. Per quanto riguarda gli autori, Luigi Luppola -responsabile dei testi (che ha pure recuperato alcuni testimoni privilegiati dell’epoca, come la pisana Daniela Ripetti Pacchini, che li conobbe all’hotel Duomo di Milano o il napoletano Erminio De Biase)- è presidentedell’Official Beatles Fan Club, Alberto Durazzi è fotografo d’attualità, curatore dell’ ampio patrimonio di immagini legato all’avvenimento, figlio di Aldo, fotoreporter per quasi mezzo secolo, fondatore dell’agenzia Dufoto nel 1955, che seguì tutto l’italian tour dei quattro musicisti premiati due settimane prima dalla Regina Elisabetta con la MBE, Member of British Empire, la più alta onorificenza dell’Impero Britannico, che li farà soprannominare Baronetti.
Il volume ha una parte finale dedicata alle memorabilia -biglietti, manifesti, programmi rintracciati tra collezionisti e appassionati, quella scia di supporters un po’ nostalgici e tanto coinvolti- di quella prima, e unica, tournèe nella penisola (poi celebrata con targhe e concerti-ricordo delle cover band, nel 2005). Quando sembrava davvero che si potesse cambiare il mondo in meglio mettendo a soqquadro il grigio conformismo imperante con un po’ d’entusiasmo e di ironia, con l’azione nonviolenta e battendosi perl’estensione dei diritti civili a tutte le minoranze, coi comportamenti individuali, insomma un preludio di quella ribellione delle giovani generazioni che esploderà di lì a poco. Il libro è da consigliare a tutti quelli che c’erano ai concerti di quarant’anni fa ma anche ai loro figli e nipoti attuali, per mostrargli come era possibili essere contenti di un’ora diversa, aggrappandosi a quella piccola felicità portata in giro, su un giro d’accordi e sulle parole inglesi da imparare a memoria, dai quattro ragazzi di Liverpool, inventori di canzoni indimenticabili.de Il Manifesto









   
 



 
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