K. ZANUSSI E LA SPIRALE DELLA VITA
 







di Antonio NAPOLITANO




Zanassi sul set

Tra gli autori di cinema eclissati dall’ondata di pellicole di consumo e (praticamente) cancellati dalle nostre TV, è doveroso ricordare il polacco Krisztof Zanussi.
Sintomatico risulta ,altresì, il quasi completo black-out su di lui in una recente “Guida ai film” (Mi,2008), pur ricca di circa 18000 titoli.
Trascuranze tanto più immotivate in quanto il regista, ancora validamente operoso, può fregiarsi di riconoscimenti di rilievo a Cannes come a Berlino, a Venezia come a Firenze (“Davide europeo” nel 1981), e a Mosca (Grand Prix, 2000).
Agli esordi, dopo un ottimo documentario sul compositore Penderecky, Zanussi dà con “La struttura di cristallo” (1969) una solida prova di narratore per immagini.
L’opera suscita, infatti, vivo interesse nella pubblicistica, allora ben più attenta ai valori figurativi e ai contenuti culturali della Settima Arte.
Per i pregnanti chiaroscuri e la profondità del discorso, vengono evocati, et pour cause, i nomi di un Antonioni e di un Bresson.
La storia è quella di due amici scienziati che hanno seguìto differenti itinerarii, l’uno, una carriera di successo e l’altro un anonimo  lavoro in una stazione meteo.
In un contesto apparentemente povero di accadimenti, la tensione psicologica è resa in modo magistrale, grazie all’uso significativo di primi piani e controcampi.
Anche nel successivo “Vita in famiglia” (1972), il regista riesce, in sintesi, a connotare l’intera esistenza d’un uomo nel confrontarsi con i  parenti ritrovati dopo lunghi anni.
“Illuminazione” del 1973 svolge, invece, un’articolata riflessione sui limiti della scienza rispetto al mistero della morte. In pagine piene di tormenti interiori risuonano echi della “scommessa” pascaliana.
Per le qualità formali e la fascinosa tematica il film riceverà un meritato premio a Locarno.
Solo una lieve digressione costituisce “Bilancio trimestrale” (1975), in cui una donna cerca di liberarsi dai vincoli
Persona grata
di un’educazione tradizionale.
Notevole è l’interpretazione di Maja Komoroska che continuerà anche con Kieslovsky a confermare le sue splendide doti d’artista.
E, per quest’opera, P.Pintus parlerà di “un modo veramente speciale di fare un cinema appartato e solitario”, in pratica, lontano dal chiasso triviale che , spesso, rimbomba da Hollywood e da Cinecittà.
Sottraendosi alle mode e ai più volgari tic della nostra epoca,esso è riuscito, invece, a restituire alle immagini la dignità di un pensiero reso visibile.
Lo conferma, nel 1978, “La spirale”, in cui il tentativo di suicidio del tecnocrate assurge a simbolo di nobile protesta contro ogni ipocrisia, confessionale o laica.
Nella sua coinvolgente psicologia, l’opera tende a penetrare il grave problema con estrema serietà fino a farne affiorare una speciale catarsi.
Una tale tendenza espressiva risulterà poco accetta al regime e ciò spiega perché Zanussi sarà costretto a lavorare più volte all’estero. “Cammini nella notte” (1979) è, infatti, prodotto in Germania e, con precisione, P. D’Agostini lo descrive come “il  travaglio di due coscienze inquiete nella gran notte d’Europa”.(Ne “Il Castoro-cinema”,FI 1980).
Blocchi e diaspore subiranno anche “Constans” e “Colori mimetici”. Di produzione tedesca è anche “Imperativ” (1982), vicenda di un giovane matematico tormentato da problemi teologici. È un film, in realtà, un po’ appesantito dai molteplici riferimenti culturali, che vanno da S.Agostino a Freud.
Più equilibrato apparirà, nel 1984, “L’anno del sole quieto” che, però, nonostante il Leone d’Oro a Venezia, circolerà assai poco.
Simile atteggiamento dei distributori verrà stigmatizzato nel convegno di Madeira da parte di importanti autori di cinema, da Oliveira a Costa-Gavras, dalla Varda a R.Clément, vittime, anch’essi, della crescente mercificazione.
Interesserà, invece, i nostri noleggiatori “Il potere del male” (1986), anche per la presenza degli italiani Gassman e
Illuminazione
Vallone.
Vi è, tratteggiata un’allegoria a forti tinte sull’essenza del demoniaco, con temi che sfiorano la predica edificante, al di là delle “ragioni del cuore”.
In cifre meno retoriche sarà presentato “Da un paese lontano”(1987), una saga a carattere corale connessa solo a tratti con la biografia di K.Wojtyla.
L’opera scansa i rischi della agiografia e col suo stile di “docufiction”  arriva, come nota M.Morandini, “a procurare momenti di autentica commozione”.
Nel 1991, “Vita per vita” viene a rappresentare con sobrietà il ritratto del Rev.P.Kolbe (Santo martire nel 1982) che si sacrificò per salvare la vita dei suoi compagni di lager. Privo di apriori ideologici e fideistici, il film rivela una preziosa attenzione alla varietà dei caratteri e ai loro intimi mutamenti.
Ad un livello minore si colloca la vicenda de “La vita come malattia sessualmente trasmessa” dell’anno 2000. Qui, la “metanoia” del medico malato di cancro appare, talvolta, più dichiarata che motivata.
E si percepiscono echi e risvolti bergmaniani non sempre risolti nè assimilati fino in fondo.
Nel 2005, una svolta interessante è costituita dal “thriller diplomatico” “Persona non grata”.
Con giusto ritmo si intrecciano le vicende private e pubbliche di un musicologo polacco, nominato ambasciatore dopo il cambio del regime.
E progressivamente si chiarifica la doppia crisi del protagonista, vedovo di una moglie amatissima.
Ciò, anche grazie alla performance del grande attore J.Stuhr pedinato con sagacia dall’obiettivo.
Meno convincente appare l’ultima cosa girata (in Italia) col titolo di “Sole nero” (2007), un tema alquanto fuori dagli itinerari esistenziali di Zanussi.
L’atmosfera da suspense, l’improvviso omicidio gratuito, la macchinosità delle indagini non si amalgano tra loro. E R.Girone e la Golino sono come spaesati pur nello spazio ridotto della balconata in cui si muovono ( un “kammerspiel” alla luce del sole?).
È una caduta di stile che,comunque, non pregiudica la valutazione positiva che spetta a questo regista della “terza generazione polacca” (dopo quella di A.Ford e di A.Wajda).
Perchè nella maggior parte dei casi, egli ha saputo trasfondere le sue convinzioni stoico-cristiane in rappresentazioni schermiche di fascinosa serietà.
Quasi come ripetuti inviti a riflettere sull’ardua spirale della vita contemporanea, e sollecitazioni a resistere, in questo periodo storico, all’abbuiarsi delle coscienze nella vertigine del “ tramonto delle fedi”.










   
 



 
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