Le sorprese della provincia. Gusto ciliegia, musica rock
 







di Cristina Piccino




Pensiamo a un rocker, anzi meglio a un trentacinquenne che «avrei-voluto-essere-famoso» e si ritrova invece disoccupato, la macchina scassata, la ragazza che lo pianta e lo sbatte pure fuori casa. Cosa fa il nostro? Piglia la strada e se ne torna da Roma città «spettacolar/tentacolare» nella provincia emiliana di villette col giardino dove vivono il fratello sovrappeso che manda avanti la fabbrica di famiglia, ciliegie sotto spirito, la madre new-age, il padre post-infarto, la sorella solitaria dunque lesbica. Su schermo una roba così minaccia i brividi specie trattandosi di cinema italiano dove la crisi esistenziale difficilmente conosce l’ironia. Stavolta però il regista si chiama Gianni Zanasi e è abbastanza visionario e istintivamente punk per rimescolare tutte le coordinate delle storie, tradire a ogni passo sospetti di romanticismo, sviolinate o eccitazioni «familiste» disseminando provocazioni dal tocco leggero e raro talento, quasimajakovskjano, nel muovere gli attori. Non pensarci, gran successo alla scorsa Mostra di Venezia (Giornate degli autori) è il ritorno al lungometraggio del regista di Modena «emigrato» a Roma un po’ come il suo protagonista, dopo un assai smaliziato « documento» sul cinema italiano (romano) dalla prospettiva di piazza Vittorio - La vita è breve ma la giornata è lunghissima. Zanasi era stato una rivelazione e una bella scossa per gli immaginari nostrani col suo esordio, il talentuoso Nella mischia, poi c’erano stati Fuori di me e A domani tutti perfetti meccanismi di commedia tra provincia, nevrosi, amori falliti e riusciti e un’alchemica precisione di scrittura e libertà delle immagini.
Non pensarci mette insieme Valerio Mastandrea, Giuseppe Battiston e Anita Caprioli nel ruolo dei tre fratelli, Mastandrea è il rocker sbarcato a Roma che lì invidiano (o almeno gli fanno credere) per il successo. La sorella (Caprioli) ha mollato l’università e cura i delfini dell’acquario tanto,dice, sarebbe finita lì pure con la laurea. Il fratello (Battiston) isterico perché «non scopa», così mormorano gli operai, nasconde invece il fallimento della fabbrica finita in ipoteche.
Poverino Stefano Nardini/Mastandrea, pensava che la sua vita fosse un caos e si ritrova col grembiule della fabbrica a discutere coi sindacati e le banche. Ma Zanasi è cresciuto respirando provincia e immaginari poco addomesticabili, precariato, senso della famiglia, solitudine, fatica a essere se stessi vengono raccontati con la complicità dolce e anche melanconica (che manca al film di Virzì) di una vecchia canzone, Agnese dolce Agnese di Ivan Graziani, e con irriverente umorismo. In cui conferma il suo talento di saper far ridere senza per questo darsi delle etichette. È buffo Stefano/Mastandrea che porta in giro i nipoti e finisce quasi arrestato per fare impressione guidando come un pazzo. È tenero il fratellone che si innamora della prostituta (Caterina Murino) o i genitori che credonodavvero che la figlia sia lesbica però: «amore per noi sei sempre la stessa».
Il set è una Rimini abilmente diluita nel tono surreale di riti che l’instabile del contemporaneo in apparenza non scalfisce. Eppure la sorpresa sta proprio dove non l’aspetti: nei luna park, nelle sbronze, nei tentati suicidi che finiscono con zampe canine rotte e in quelli veri. Il cinema di Zanasi si sposta per movimenti impercettibili, ha la vitalità dell’imperfezione e del sentimento. Con la dote rae ora di catturare l’istante in esperienze (immagini) riconoscibili per renderle ogni volta inattese.de Il Manifesto









   
 



 
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