“Il dispotismo indulgente”
 











Questo libro (Il dispotismo indulgente del giudice costituzionale Luigi Mazzella, ndr), raccolta di scritti, alcuni occasionali, tratta di molte cose; d’una sola delle quali - stante i limiti della recensione – è d’uopo scrivere. Di quella che da il titolo al libro, e che parte dai concetti d’ostilità, guerra, nemico (per arrivare allo stato contemporaneo), che la post-modernità ha mutato – in parte – nella forma e nei modi, ma non nella sostanza.
Ad esempio: scrive Mazzella a proposito del termine terrorismo che “Il termine terrorismo, oggi, è stato piegato a indicare ogni metodo intimidatorio o ricattatorio diretto a fini di scompaginamento dell’ordine costituito e basato su una costante pressione psicologica finalizzata a influenzare comportamenti e opinioni con la diffusione, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, di notizie vere o inventate con lo scopo di diffondere, strumentalmente allarme, preoccupazione e panico. Inteso in questosenso più esteso, il terrorismo trova alimento esclusivamente nei paesi democratici (e mai, naturalmente, in quelli autocratici, dove vigono, senza limitazioni, sia il principio del vim vi repellere licet sia il controllo dei mezzi d’informazione), soprattutto se caratterizzati da poteri esecutivi deboli”. Questo perché “Le democrazie infatti sono più sensibili agli orientamenti dell’opinione pubblica liberamente informata e rappresentano il terreno di coltura più adeguato per questa forma di diffusione della paura. Inoltre, a causa del rilievo prevalentemente mediatico della lotta, l’organizzazione èlitaria di vertice si può costituire molto più agevolmente intorno a potenti gruppi industriali e finanziari che abbiano il controllo dei maggiori mezzi di comunicazione”
Quanto c’è di “vecchio” e di “nuovo” in questa descrizione?
In effetti che l’ostilità possa realizzarsi ed essere efficace con pratiche non riconducibili all’uso di mezzi violenti, lo sapevano già Sun-Tzu eKautilya. Anche Clausewitz, che pensa in modo “classico” la guerra, la definisce – in prima battuta – come l’atto di forza che ha per scopo di costringere il nemico a fare la nostra volontà. Giovanni Gentile, correttamente, toglie l’atto di forza (il mezzo) e lascia lo scopo (costringere a fare la propria volontà).
I due “bravi” colonnelli cinesi Qiao Liang e Wang Xiangsui ritengono che, in un mondo “pacifico”, in cui “quando la gente comincia ad entusiasmarsi e a gioire propendendo per la riduzione di forze militari come mezzo per la risoluzione dei conflitti, la guerra è destinata a rinascere in altre forme e su di un altro scenario”. E indicano, tra queste, quella che (tra pochi altri), suggerisce Mazzella. Il quale, correttamente presupponendo che la guerra è, in primo luogo, uno scontro tra volontà ed è solo secondariamente connotata dai mezzi impiegati, ne fa conseguire che “In conclusione, il terrorismo che si può definire armato e, al tempo stesso, mediatico non punta alladistruzione fisica di un avversario che si vuole sostituire nel governo del paese, ma solo alla cosiddetta morte civile delle Istituzioni che ne costituiscono l’ossatura e dei suoi rappresentanti”.
Per cui “si può dire che oggi le trasformazioni avvenute nell’assetto politico e sociale delle democrazie contemporanee hanno reso l’ipotesi del golpe traumatico ai danni dei vertici politici di un Paese del tutto improbabile.
Il che non significa per niente che, una sorta di dispotismo strisciante, persino indulgente e discreto, non abbia già fatto crollare, in modo morbido, indolore, silente e senza clamori, molti istituti tradizionali della democrazia”; e questo non significa pace, né cessazione delle ostilità, ma solo una forma di controllo/indebolimento dell’avversario, attuato non sui mezzi e sull’impiego dei medesimi (come le limitazioni alla costruzione ed uso delle armi e così via) ma direttamente sulla volontà di resistenza delle democrazie agli atti ostili.
Secondol’autore la globalizzazione dell’economia negli ultimi trent’anni ha “scatenato o favorito subdolamente vere e proprie guerre, dove titoli in borsa, emissioni azionarie definite tossiche, spread (con l’effetto di sommovimenti, spesso devastanti, nelle imprese) hanno prodotto, sul piano economico, sconquassi finanziari, monetari, borsistici davvero sconvolgenti e disastri aziendali non meno profondi delle distruzioni degli apparati produttivi provocate, nei conflitti bellici, da missili e bombe cosiddette intelligenti”.
Protagonista di ciò è “il polo anglosassone” dell’area occidentale, distinto per visione del mondo da quello “continentale” (cioè l’ “eurozona”).
L’obiettivo di tale contrapposizione è ottenere la definitiva terziarizzazione dell’economia continentale, che ancora presenta varie “sacche” d’industria (anche se per lo più matura).
Questa ostilità è diretta a contrastare la “cultura del manufatto” e gli obiettivi da battere sono tre: le stesse imprese industriali, isindacati e lo Stato (in particolare nella sua versione c.d. “sociale”) “i colpi diretti a demolire una società ostinata a restare industriale, a dispetto della sua scarsa o nulla competitività (per gli alti costi di mano d’opera e welfare) dovrebbe tendere: a) a gettare scompiglio e sconcerto tra gli imprenditori manifatturieri; b) a diffondere con ogni possibile artifizio una luce sinistra di sospetto sui quadri sindacali; c) a destabilizzare le Istituzioni dello Stato di diritto, liberale, divenuto sociale, sotto la spinta concorrente del pensiero socialista”.
Se il progetto avesse successo (e pare che lo stia avendo) “una fase di post-democrazia potrebbe affiancarsi a quella post-industriale”. Una nuova classe di potere sostituirebbe le attuali èlite di governo: “quest’organizzazione nuova di potere, avendo solo bisogno per il proprio funzionamento di tecnocrati da essa, in vario modo, stipendiati, sarebbe del tutto indifferente, se non ostile, alla presenza negli Stati dilegislatori preparati e di governanti efficienti. I suoi affari, infatti, sono favoriti non dalle leggi e dai provvedimenti amministrativi ma, piuttosto, dal caos del Mercato che alimenta la speculazione. E ciò in modo tanto più rilevante quanto più grande e incontrollabile si presenta il disordine”.
La conseguenza di ciò è che – logicamente – “oggi nessuno si preoccupa o è più in grado di fare sì che la massa esprima élite politiche e di governo degne di questo nome”: per l’ovvia ragione che il potere democratico e il rapporto governati-governanti “classico” dev’essere rimpiazzato da quello tecnocratico-finanziario, la cui caratteristica peculiare (ma non esclusiva) è di non fondarsi su una legittimazione democratica “La rivoluzione elettronica, consegnando il mondo nelle mani dei finanzieri, dei banchieri, dei gestori di patrimoni altrui e last but not least dei tycon dell’informazione, ha eliminato la ritenuta mela marcia delle élite e delle minoranze governanti, da loro tantoesecrata, ma non apre, di certo, per la democrazia un luminoso orizzonte… Secondo un tale punto di vista, vi sarebbero già personaggi, lautamente pagati e collocati in posizione strategica, in grado di muoversi e di agire per il bene dell’umanità e non soltanto nell’interesse esclusivo e a vantaggio del grande capitale (a cui soltanto, in buona sostanza, essi rispondono)”.
Quel che fa difetto, rispetto ad un potere siffatto è che “il problema per chi vive nelle democrazie postindustriali non è tanto quello di denunciare, con Tucidide, Mosca e Pareto, la presenza di élite politiche o di minoranze governanti che schiacciano le maggioranze, ma piuttosto la loro drammatica mancanza”.
L’uso cui il potere “classico” di governo è (e sarà) ridotto è di essere formalmente responsabile e quindi “visibile” ed esposto al risentimento dei governati, secondo il gioco “classico” dei poteri indiretti. Questo, e molto altro, c’è in questo interessante libro di Mazzella.
A cui si possono faredue notazioni.
La prima è che se è vero quanto scrive l’autore sugli atti di ostilità che prendono forme non violente (ma conosciute già prima dell’attuale periodo storico), non appare sicuro che la contrapposizione sia tra modello insulare (anglosassone) e modello continentale.
Che un nemico ci sia ed operi, è evidente: ma che siano le potenze anglosassoni, è assai dubbio. Più propriamente, per giustificare gli atti ostili, si serve dell’ideologia liberista, ma perché è la più opportuna per il perseguimento dei di esso scopi.
L’altra è che la riflessione moderna sullo Stato ed il diritto ha trovato in una dicotomia fondamentale, espressa da Hegel, quella tra società civile e Stato, uno dei punti fermi. Lorenz von Stein sintetizzava così i diversi principi dello Stato e della società civile “mentre lo Stato raccoglie a questo scopo i singoli in un’unità personale, la società subordina singolarmente un individuo a un altro singolo. Mentre quindi lo Stato vuole il raggiungimentodella destinazione umana attraverso l’unità, la società pone questo invece attraverso il singolo”.
Maurice Hauriou distingueva, con un criterio per qualche verso simile, due diritti: uno istituzionale-disciplinare, basato sul rapporto d’autorità e l’appartenenza comunitaria; l’altro (diritto comune) fondato sulla naturale socievolezza umana; distinzione che ricorda quella tra diritto pubblico (Themis) e diritto privato (Dike). E potremmo continuare con distinzioni che su quel rapporto (e intorno a quello) sono formulate.
Orbene la conseguenza dell’attuale tendenza è che il “diritto comune” cioè quello basato sui rapporti e subordinazioni private tende a cancellare quello “disciplinare” basato su appartenenze comunitarie (nella specie le comunità organizzate in Stati). Ma è possibile ciò? Prima o poi il “diritto comune” o meglio la tecnocrazia finanziaria dovrà trovare un diritto disciplinare e soprattutto un’istituzione, che – quanto meno – ne garantisca attuazione e osservanzadi quello comune. Non appaiono all’uopo sufficienti i Tribunali internazionali in via di “proliferazione accelerata”.
Piuttosto non occorrerà probabilmente – à la Kant – uno Stato mondiale, che lo faccia, e quindi ricostruisca – istituzionalmente – l’unità politica e di comando?
Ed è più idoneo uno Stato mondiale o una pluralità di “grandi spazi” indicati da Carl Schmitt?
E su questi interrogativi irrisolti, che è non secondario merito del libro avere posto, rinviamo il lettore al libro.Teodoro Katte Klitsche de la Grange

Luigi Mazzella,
Il dispotismo indulgente,
Avagliano Editore, 2013, pp. 290, € 16,00.









   
 



 
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