La casta? Ce la portiamo dietro dai tempi dei Savoia
 











Prima di Beppe Grillo.Prima di Sergio RizzOe Gian Antonio Stella. Prima della Casta. Prima c’era Ettore Socci, garibaldino e parlamentare maremmano. È un filone quello dei romanzi di palazzo. O lo era, almeno, prima che i retroscena giornalistici cominciassero a raccontare i dettagli più succosi del potere. E del filone fa parte I misteri di Montecitorio, opera pressoché inedita, scritta dal deputato del regno Socci alla fine del 1800.
Il racconto uscì a puntate sulla rivista La democrazia. Poi le puntate furono raccolte in alcuni volumi. Ora il libro è tornato in libreria grazie a Studio Garamond, Edizioni della sera. Ed è un racconto divertente, e una denuncia di impressionante attualità. Sui costi della politica, sulle ruberie, sull’inconcludenza a cui sono spesso portate le assemblee parlamentari.
Siamo sempre lì, è la sensazione che rimane in testa, letta la storia dell’avvocato Guidi, scapestrato ma buono, scansafatiche ma attento agliultimi, sempre pronto ad attacar briga con i potenti del paese, di quel paese qualunque, a cui Socci non dà un nome, che tanto uno vale l’altro. All’avvocato Guidi, Socci, lo catapulta a Roma come esito di un’inattesa vittoria elettorale. È deputato del regno, il protagonista di fantasia, Guidi, ben prima che lo stesso Socci lo diventi.
Tant’è che nella prefazione di una ristampa per ricordare al lettore che la sua ricostruzione si basava sulle cronache del tempo, non essendo lui ancora mai stato deputato, Socci scriveva: «Nemmeno nelle più scapigliate polemiche il giornalista si sarebbe permesso di ritenere possibile, sia pure come ipotesi, la disonorata baraonda, in cui è stata travolta la cosa pubblica».
Era solo il febbraio del 1899. Il meglio doveva ancora arrivare. E quella raccontata era, alla fine, ancora «un’assemblea di galantuomini che, senza retribuzione alcuna, offre l’opera sua per provvedere» al Paese, «come meglio può».
Tra molte avventure, anche sentimentali,nella Roma dei palazzi, Guidi scopre però che «l’uomo politico è uno schiavo bianco» e che «il primo idiota si permette di dargli consigli; il primo bottegaio ingrassato ha il diritto di comandarlo a bacchetta», perché così si accontenta il proprio collegio.
Così si fanno trattare molti deputati, di ogni orientamento, spesso amici, perché nel Transatlantico di Montecitorio non si perde occasione di fare comunella: «Il deputato ministeriale di tre cotte dice roba da chiodi dei ministri che sostiene col voto; l’oppositore gabella i suoi capi per mistificatori: uno mette in burletta gli elettori; l’altro fa le matte risate sui grandi principi; destri e sinistri ridono e scherzano insieme alle spalle del povero diavolo che ha preso sul serio il mandato ricevuto».
I capanelli bipartisan, insomma, sono sempre esistiti: «non è tanto raro il caso che invece che parlare di politica in quel crocchio si parla, con linguaggio scollacciato e con espressioni pornografiche, dell’ultima mina cheha agito all’Argentina, o della bellezza, più o meno serotina, venuta giù da Parigi».
A Montecitorio, scopre Guidi, quando non si è impegnati a ottener marchette per i propri collegi, «spesso e volentieri si sta come scolari in vacanza», spesso con la complicità della libera stampa. Che si avventa subito sul nuovo arrivato, Guidi. Come Asdrubale Mattiroli, corrispondente di una rivista milanese, che «era un giornalista alla moda, e vantavasi del suo americanismo». Nulla da invidiare ad alcuni eredi contemporanei, il Mattiroli: «Non aveva né ritegni, né scrupoli: si piantava accanto a un gruppo di deputati influenti per carpir loro una dichiarazione, una frase, e ammanirla poi ai lettori inghirlandata da tutti i fronzoli della sua fantasia, e quando non poteva giungere a carpire una sillaba, inventava di sana pianta».
C’erano anche già i Responsabili, poi, i Razzi e gli Scilipoti. «Si chiamano gli extra-vaganti e costituiscono una vera schiera di soldati di ventura. La loroproclamata indipendenza è il più bel sistema per sgranare ogni giorno qualche cosellina». Tra loro Guidi conosce il collega deputato Civetti, «uno dei tanti che, col pretesto di esser più innanzi di tutti gli altri», non si iscrive in nessun gruppo. «Legione pratica: merce sempre all’incanto per il miglior offerente, stoppa adattissima per imbottire tutte le poltrone ministeriali».
Ora chissà se il secolo trascorso, e le indennità, e gli scandali, avrebbero scalfito l’orgoglio repubblicano di Socci che, severissimo e indignato, nello scrivere l’ironico libro, non ha però ceduto all’antipolitica, né all’antiparlamentarismo: «si dice roba da chiodi contro la Camera dei deputati e la si accusa come l’autrice principale delle disgrazie che tormentano l’Italia». «Nulla di più inesatto» mette nero su bianco, punto e a capo. «Il parlamentarismo è una fase morbosa del sistema rappresentativo», sì, ma «il sistema rappresentativo è l’egida dei popoli liberi, è il controllore dei governi, èla possibilità per tutti di denunziare un arbitrio, di svelare uno scandalo, d’invocare un provvedimento».
Insomma. Socci si lancia in dichiarazioni di incredibile attualità: «se pochi malfattori, approfittandosi del loro mandato, hanno tentato lauti guadagni, non è detto che non vi siano caratteri adamantini, coscienze serene, menti che pensano e cuori che palpitano per l’avvenire e per la grandezza della patria».Luca Sappino,l’espresso









   
 



 
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