Un intrico di riverberi nello specchio dell’ultimo Michael Ondaatje
 







di Caterina Ricciardi




C’è una strada a San Francisco chiamata Divisadero, «separazione» in spagnolo, che corre dritta più o meno dalla costa fin su in alto, oltre Alamo Square, verso un rilievo che porta lo stesso nome, un punto dal quale si può guardare e controllare, divisar, tutto il paesaggio, mentre il netto tracciato in origine era inteso a separare il villaggio tardo settecentesco dai campi del Presidio. Michael Ondaatje, oggi sessantenne e fra i più noti scrittori canadesi, da quella strada prende il titolo del suo sesto romanzo: Divisadero (trad. di Barbara Bagliano, Garzanti, pp. 281, euro 17, 60). A sette anni da Lo spettro di Anil, la sua seconda e meno pregevole incursione narrativa nel nativo Sri Lanka già rivisitato nel 1982 con Aria di famiglia, e dopo avere esplorato le topografie storiche di Toronto - sua città di elezione - della New Orleans di Buddy Bolden, del West di Billy the Kid, dopo essersi spinto fino in Africa e fin nella Toscana del Paziente inglese, Ondaatje hainfine ceduto al mito della California.
Diviso in tre parti, in realtà il romanzo sembra costituire piuttosto un dittico, perché alla prima storia californiana ambientata nebulosamente fra gli anni ’70 e ’90 del Novecento fa seguito la biografia compatta di un immaginario scrittore francese dei primi anni del secolo, vissuto in Guascogna, la terra legata a Dumas. La protagonista della ricerca, che si svolge nel sud della Francia, è una storica e archivista della Berkeley University di nome Anna, che possiede una casa in Divisadero Street. È una casa che il lettore non vedrà mai, mentre nel libro si svolge il bandolo di due matasse aggrovigliate: da una parte Anna ritrova il filo della propria storia e di quella della sua famiglia da cui è separata da oltre vent’anni, dall’altra insegue il misterioso Lucien Segura e l’amata Marie-Neige.
Le due derivazioni dell’intreccio sono in apparenza separate, nonché diversificate nella geografia, nel tempo, nelle culture che incontrano.Eppure, il mistero strutturale di Divisadero sta nei nessi piuttosto che nelle «separazioni», nessi che il lettore dovrà attrezzarsi a riconoscere pur distribuendoli l’autore nelle vicende di esistenze fra loro estranee. Solo così riusciremo a carpire nella bella prosa poetica, frammentaria e ellittica di Ondaatje, echi e riflessi che legano le storie individuali coinvolte, indizi utili a cucire i vuoti e le corrispondenze. Ciononostante, a un certo punto, mentre Lucien e Marie-Neige leggono distrattamente Dumas, Ondaatje ci tende un’esca per allertare la nostra attenzione: «Il fatto di non sapere qualcosa di essenziale ti fa appassionare ancora di più», scrive.
Il tutto ha inizio da lontano e sulla cresta di un crinale montuoso a est di San Francisco, verso Sacramento, dove vive la famiglia di un avo della generazione dei pionieri, che aveva cominciato a costruire una capanna su quella cresta e aveva finito col mettere insieme una estesa fattoria. Diversi decenni dopo, la stessacapanna diventerà scenario di uno scontro violento che disperderà per sempre i protagonisti della piccola saga californiana: il trovatello Coop, un ragazzo sotto shock dopo l’efferato massacro subìto dalla sua famiglia di origine, Anna e Claire, anche lei una trovatella adottata dal padre di Anna dopo che la moglie, l’umile Lola Montez, è morta di parto lasciandolo solo con la loro bambina appena nata. È così che si viene a costituire un gruppo famigliare eterogeneo: due bambine quasi gemelle, di cui una dottiva, e un altro orfano.
Sullo sfondo la magistrale ricreazione del retroterra rurale di una California anni ’60 e ’70, contemporanea ai noti sommovimenti politici e al tempo stesso simulacro di paradisiache fondazioni pionieristiche, fra corse all’oro e tardi cowboy: un arazzo idilliaco e retrò, improvvisamente squarciato dalla passione che irrompe fra la sedicenne Anna e il trovatello Coop. Le violente reazioni alle quali si abbandonano tanto il padre che la figlia in qualchemodo fanno tralucere un’aura faulkneriana, con riverberi di incesto e fato greco. La famiglia così benevolmente messa insieme è distrutta. Anna scomparirà e non darà più sue notizie. Coop, battuto a sangue dal padre adottivo e curato da Claire, diventerà uno dei giocatori d’azzardo più rinomati della California e del Nevada, negli anni che corrono dal Vietnam alla guerra del Golfo a quella in Iraq. Intanto scorre sul fondale una California nascosta fatta di biscazzieri e di situazioni in genere poco rappresentate. Claire resterà accanto al padre, lavorando allo stesso tempo come investigatrice a San Francisco per un avvocato. E vent’anni dopo, proprio grazie a questo suo lavoro ritroverà Coop, e questa volta lo incontrerà fra i casinò di Lake Tahoe dove, di nuovo, lo salverà da un brutale pestaggio per poi tornare, insieme a lui, a San Francisco. Ma la domanda su chi amasse davvero Coop resta aperta: amava Claire o Anna? Le due donne hanno la stessa età, il destino le ha rese quasisorelle, inoltre sono riguardate da un «incidente verbale», a proposito del quale Ondaatje così scrive: «Gotraskhalana è un termine della poetica sanscrita che significa chiamare una persona amata con il nome sbagliato... letteralmente sta per ’inciampare in un nome’. È un avvenimento comune nei racconti sulla vita coniugale e sulle relazioni amorose».
Su un altro binario, ritroveremo Anna in Francia, che sotto falso nome sdoppia la sua narrazione inquadrando da una parte qualcosa della storia californiana, dall’altra la vicenda di Segura e quella che la lega a un altro personaggio di nome Rafael. Tanto più si rende necessaria l’attenzione del lettore ai trucchi, ai riverberi che come in uno specchio riflettono parti dell’intreccio, alle schegge di vetro, alle magie da caleidoscopio, agli scambi di nome, ai giochi degli amanti, tra guglie medievali e serbatoi d’acqua californiani, tra ritorni di moschettieri e due guerre mondiali evocate nella ambientazione francese. L’invitodell’autore è a cercare le corrispondenze seminate nel testo, a non separare le storie, che riguardano la vita e l’arte, il tutto governato da quello che è il motto di Anna: «Lavoro dove l’arte incontra in segreto la vita». E questo vale anche per Ondaatje, scrittore sempre raffinato che dimostra la sua cultura e sfiora insistentemente l’autobiografia, pur mantenendo fermo il suo interesse per la Storia fatta di storie: «Viviamo perennemente nel ricordo delle nostre storie, quali che siano le vicende che raccontiamo».
Del resto, tra le pagine di Divisadero, dove il passato recente della California si intreccia a quello della Francia di Dumas e dei primi del Novecento, c’è comunque sempre anche un po’ della storia personale di Ondaatje, che era un orfano Tamil e resta un migrante dislocato in ciò che scrive. Infatti, proprio il gesto artistico resta per lo scrittore canadese un rifugio radicato e consolatorio, e non a caso cita queste parole di Nietzsche : «Noi abbiamo l’arte pernon morire a causa della verità».de Il Manifesto









   
 



 
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