Il gobbetto dove lo metto
 











Credo che una delle prime domande da porsi mettendo in scena “Non è vero ma ci credo”, nel cartellone del Teatro Quirino per la regia di Michele Mirabella, da molti considerato il capolavoro di Peppino De Filippo, bravo commediografo più virato sul comico del fratello Eduardo, e spesso popolarissimo per i personaggi che regalavano tormentoni linguistici in televisione (es. Pappagone e la sua carta di ‘ndindirindà), sia se conservare al testo le battute legate all’attualità dell’epoca, ovvero aggiornare per rendere, specie il pubblico giovane, più partecipe. Mirabella ha fatto una operazione a metà, citando Marchionne e le sue scelte manageriali, ma conservando certe battute su personaggi che intorno agli anni ’50 erano notissimi ed oggi si fa fatica a collocare. Ma che importa quando l’argomento trattato è universale come la superstizione, la scaramanzia, lo scongiuro e gli oggetti apotropaici, dei quali ogni persona accorta, che non cercaguai,  dovrebbe opportunamente contornarsi.
 Il pericolo ci circonda da ogni lato, ma la saggezza del popolo conosce i rimedi alla mala sorte, agli spaventosi effetti demoniaci degli jettatori che sprofondano negli abissi navi con tutto il carico, fanno marcire le messi nei campi, rovinano gli affari, lasciano le fanciulle zitelle o le fanno innamorare di persone indegne della loro condizione sociale, ed altro ancora. Certo, non bisogna allentare il freno, e ricordarsi di portare il mucchietto di sale da lanciare alle spalle di chi ci guarda con malo occhio, esponendoci a inenarrabili pericoli. Per un primo intervento bastano le corna fatto con il noto gesto delle dita, meglio se irrobustito da un cornetto di corallo rosso, regalato e non comprato, di per sé già protettivo, ma anche piazzare un ferro di cavallo con le punte all’insù può servire. E bisogna imparare da subito alcuni gesti “igienici” protettivi: non posare mai suo letto cappello o monete ( vuol dire che tistai chiamando la morte), attenzione a non rompere specchi se non vuoi sette anni di guai, a non aprire l’ombrello in casa, e se per strada vedi suore, un carro funebre vuoto, un gatto nero o una scala poggiata al muro, meglio che te ne stai lontano. E pure quando dormi e sogni stai accorto a non sognare denti, potresti perdere la forza e risvegliarti come un mortacino. E se senti scricchiolare il vecchio armadio  vuoto, potrebbe essere “un monacello” venuto a vivere con te per il quale, pena effetti indesiderati, si consiglia di metter attorno alla tavola un sedia che deve rimanere rigorosamente vuota e una scodella generosamente piena. Il massimo, il non plus ultra è incontrare sul proprio cammino un gobbetto. La gobba ha potere assoluto, batte tutte le altre precauzioni, può davvero cambiarti la vita. Ed è quel che accade in questa deliziosa commedia che il tempo (è stata scritta nel 1942) ha appena un poco usurato.  Il commendatore Gervasio Savastano, uomo superstizioso,vede i suoi affari perdere consistenza di giorno in giorno. Un’analisi approfondita delle persone che lo circondano lo porta rapidamente a puntare il dito contro Belisario Malvurio, certamente uno spietato jettatore, la cui longa manus si estende alla famiglia, dove Rosina, dimentica del suo status, si innamora di un poveraccio di impiegato. Un giorno inatteso bussa alla porta dell’ufficio del commendatore Alberto Sammaria con la sua prominenza ossea,  e subito, potenza della gobba, tutto fila liscio, affari, famiglia, persino quella mattarella di Rosina che non parla più dell’innamorato. Ma Sammaria è portatore di gobba e di un sentimento acceso per la bella Rosina e poiché non si sente degno di aspirare a lei, consegna le proprie dimissioni. Allora Savastano, che vede declinare rovinosamente i propri successi, impone il sacrificio alla figlia. La quale, docile, accetta. Ma non poteva mancare un coup de théâtre e un magnifico happy end. Personaggi, quelli di “Non è vero ma cicredo” che vivono magnificamente le speranze di un’epoca scura e fonda, con la guerra in casa, ma con una ottimistica espansione verso la fortuna, che vedono sul palcoscenico Sebastiano Lo Monaco, attore assai duttile, prestato alle corde del comico nel ruolo di Gervasio Savastano, Lelia Mangano De Filippo, in quello di Teresa, sua moglie, Antonio  De Rosa, portafortuna con gobba nel ruolo di Alberto Sammaria, In scena anche Maria Laura Caselli (la figlia), e poi Alfonso Liguori( avv. Donati), Vincenzo Borrino, Margherita Coppola, Carmine Borrino, Luana Pantaleo e Salvatore Felaco. Ci sono ancora Cristina Darold e Matteo Bianco. Lo  spettacolo ha belle scene e costumi adeguati e creativi di Alida Cappellini e Giovanni Licheri.  Franzina Ancona










   
 



 
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