Mario Schiano, il jazz nel cielo
 







di Luigi Onori




Mario Schiano

Lo spirito libero di Mario Schiano naviga ora in un cielo di stelle: ieri (10 maggio) il suo corpo si è arreso al male che lo logorava dal 2003 e il jazzista ha chiuso gli occhi nella sua casa romana di via dei Panieri. Subito la notizia si è propagata nella vasta comunità di quanti gli vogliono bene e lo stimano, una famiglia di musicisti, critici, operatori, amici, intellettuali, artisti. Da anni Schiano viveva in un forzato e dolente isolamento ma era disponibile agli incontri: non era più in grado di parlare però riusciva a comunicare, grazie all’aiuto dell’ex-moglie, Rita Cosma, che gli è stata sempre vicino. I funerali si svolgeranno domani (ore 10) nella chiesa degli artisti, in piazza del Popolo. Che la situazione fosse ormai grave si sapeva ma Mario Schiano (Mariolino, come lo chiamavano gli amici di vecchia data) era ancora là, sofferente eppure lucido. Ora la sua morte rende definitivamente orfane più generazioni di musicisti e diappassionati, i molti che da lui hanno tanto imparato. Schiano era una persona generosa e solare, dallo straordinario senso dell’humour e dell’ironia, un affabulatore affascinante, una mente intuitiva e acuta; ha sofferto molto, in modo stoico: grande comunicatore, privato della parola dalla malattia ha dovuto, e in parte voluto, scegliere l’isolamento in cui affrontare una difficilissima lotta per la vita.
La sua esistenza artistica è stata appassionata e intensa, trascinante e lucida, vissuta in stretto legame con i mutamenti sociali e culturali che si sono determinati a partire dagli anni ’60. Vale parecchio l’opinione espressa a suo tempo da Giovanna Marini sul freeman partenopeo (nato nel 1933): «riesce perfettamente in quella sintesi di categorie che oggi fa tanto parlare gli operatori culturali e musicali in genere: in Schiano la musica e la poesia sono perfettamente unite, l’una provoca immediatamente l’altra (...) È per questo che dobbiamo rendere atto a Schiano di avercianticipato tutti di parecchie leghe, il tutto senza parere, da musicista, poeta, da raffinato e intelligente ’uomo meridionale quale è’» (dal bel libro-intervista di Pierpaolo Faggiano, Un cielo di stelle, manifestolibri 2003).
Il jazzista (sax alto e soprano ma amava anche suonare l’organo e cantare), l’agitatore e operatore culturale ha, in effetti, giocato sempre d’anticipo, individuando con intuito e raziocinio tendenze e persone, rispondendo a un’esigenza profonda di creare musica che avesse senso politico, nel significato più ampio del termine. Quando l’Italia jazzistica era ancora impantanata nell’imitazione del jazz californiano o nel dixieland revival, Mario Schiano tirò fuori il Gruppo Romano Free Jazz: era il 1966, insieme a lui c’erano Giancarlo Schiaffini, Marcello Melis e Franco Pecori (Ecstatic, 1967). Quella formazione fu, con ogni probabilità, il primo organico free europeo e, insieme a Giorgio Gaslini, Schiano sprovincializzò il jazz nostrano, dimostrando come sipotesse produrre musica di ispirazione afroamericana senza dover imitare i solisti americani. In un certo senso il sassofonista anticipò il ’68 e, in ogni caso, fu tra coloro che più convintamente si confrontarono con movimenti giovanili e nuove produzioni artistiche, dal Living Theatre al cinema del gruppo Fluxus; nel 1969 firmò la colonna sonora del film-documentario di Ugo Gregoretti Apollon.
Negli anni ’70 in cui si mettevano in discussione linguaggi e certezze, dando spazio a una frenetica ansia di conoscere, il jazzista si interessò di musica popolare (Sud, 1973; Perdas de Fogu con Melis, 1975), entrò in contatto con quella contemporanea (Domenico Guaccero ed Alessandro Sbordoni, DeDé, 1977), scoprì e valorizzò jazzisti che poi avrebbero costituito le colonne portanti del nuovo jazz italiano. Dalle cantine del Folkstudio di Giancarlo Cesaroni al palcoscenico di Controindicazioni, Schiano ha lanciato, fra i tanti, Bruno Tommaso, Tommaso Vittorini Eugenio Colombo, MaurizioGiammarco, Massimo Urbani, Danilo Terenzi, Sebi Tramontana, Pasquale Innarella. Nel decennio del conservatorismo sonoro, del neo-hard-bop fu il jazzista partenopeo a ridar vigore alle Sedute di improvvisatori di Controindicazioni, riprendendo il nome da un controfestival inventato nel 1975 a Penne e riproposto a Roma dal 1988. Luogo fisico, sonoro e intellettuale, la manifestazione ha rilanciato il jazz d’avanguardia e fatto conoscere artisti di mezz’Europa, con cui Schiano ha inciso. Amava molto gli incontri sonori e di essi restano tracce discografiche dal trio Ganelin a Paul Rutherford, da Peter Kowald ad Han Bennink. Si deve un po’ anche a Controindicazioni la nascita dell’Italian Instabile Orchestra (1990), formazione che ha portato nel mondo tre generazioni di freeman con successi testimoniati dai cd per Leo records, Ecm ed Enja. Il posto di Mario Schiano è ora definitivamente vuoto nell’Italian Instabile Orchestra che suonerà il 29 maggio a Reggio Calabria e aveva già inprogramma un arrangiamento di Sud, memorabile sua pagina del 1973 intrisa di poesia, critica, amore, ironia. Nella musica e nella memoria, individuale e collettiva, Mario Schiano non morirà.de Il Manifesto









   
 



 
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