Alla “Cinémathèque québécoise” di Montréal fu presentata, tempo fa, la retrospettiva integrale dell’opera cinematografica di Pier Paolo Pasolini. Per l’occasione giunse dall’Italia il critico Serafino Murri. Il giovane studioso non parlò a lungo, ma gli bastò per rivelare la propria italianità. Infatti disse “prima, nel corso delle domande, mi è stata rivolta una domanda intelligente”, e concluse la sua presentazione con un “io mi vergogno, oggi, di vivere in un paese come l’Italia” (alludendo a Berlusconi), che è una variante del “mi vergogno di essere italiano”, carta da visita immancabile dell’italiano purosangue. Un altro interveniente in quell’occasione accreditò la tesi secondo la quale Pasolini, che fu ucciso da un “ragazzo di vita” con cui si era appartato per un rapporto sessuale prezzolato, fosse stato in realtà vittima delle oscure forze della “Reazione Anticomunista”. Quest’idea di una morte cruenta, per mano dei nemici – smentitaperò dai fatti – è il tocco finale della santificazione di Pier Paolo. “Pier Paolo Pasolini era un eretico, un critico, un ribelle e soprattutto uno spirito libero” è il giudizio che va per la maggiore. Sì, Pasolini – scrittore, poeta, regista – è stato questo ed altro ancora. È stato un intellettuale geniale, gran moralista, nemico della frenesia consumistica. È stato vicino sia alla chiesa cattolica sia alla chiesa comunista. Ma da eretico. Si considerava un po’ il nuovo Dante, e tendeva a parlare continuamente di se stesso, venendo per questo accusato di “autoreferenzialità”. Visse in maniera ossessiva la propria omosessualità. Figlio di borghesi, considerava la piccola borghesia la rovina del mondo, mentre solo i proletari, i poveri, i primitivi, possederebbero, secondo lui, una vera umanità. Il suo sguardo nostalgico sul mondo contadino, minacciato dal rullo compressore della modernità, pone il marxista Pasolini a fianco dei cultori dei valori della tradizione, tutti didestra. Suo padre fu fascista. Il fratello, partigiano comunista, fu “giustiziato” dai comunisti filojugoslavi. Contro il padre, con cui ebbe sempre un rapporto difficile, Pier Paolo si rifugiò nella corazza nel mammismo. “Sono capace di provare amore solo per mia madre, negli altri cerco i corpi”, fu la sua spiegazione. Le contraddizioni di Pasolini sono vaste: benché comunista – anche se non iscritto, perché era stato espulso per indegnità “sessuale”, anni prima, dal Partito – si schierò in difesa del feto contro l’aborto, fu contro il divorzio, prese posizione a favore dei questurini contro i manifestanti, figli di papà. Pasolini, che aveva molto dell’esteta decadente, odiava però D’Annunzio. "Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere con te e contro di te; con te nel cuore, in luce, contro te nelle buie viscere”, si legge nel suo “Le ceneri di Gramsci”. E questo verso esprime non si potrebbe meglio la contraddizione in lui tra ciò che predicava e ciò chepraticava. Pasolini, che si proclamava marxista – e in quell’epoca era necessario esserlo per sentirsi col vento della storia nelle vele – usò i termini “fascismo” e “male” in maniera interscambiabile erigendosi a costante difensore del “bene”. Denunciò quindi anche “il fascismo degli antifascisti”. Grazie a questo suo Copyright sul “fascismo” non più fatto storico ma nuova categoria morale, di cui fu l’abile inventore, Pasolini riuscì a superare tante sue contraddizioni e ad ammantare certi suoi aberranti fantasmi – vedi il film “Salò” – di politica e di moralismo. I chierichetti della chiesa marxista si sono sempre battuti per assicurare a Pasolini il salvacondotto per il Pantheon dei buoni, cercando di trasformarlo addirittura in santo. Esaltando Pasolini, i complici morali della sanguinosa utopia alla Stalin e alla Pol Pot cercano di continuare a potersi presentare romanticamente ribelli, anticonformisti, eretici. Come Pasolini. Claudio Antonelli
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