I Campi Flegrei, terra d’acque, di bollenti spiriti, di tufo che affonda nell’Ade: così parla della sua terra Mario Sirpettino nella dedica al suo saggio “Nerone nei Campi Flegrei” (Kairòs Edizioni, pp. 117, euro 10.00), dedica che è anche un incipit. Il lavoro può anche essere definito un saggio antologico dove è registrata la difficile avventura poetica dello scrittore che, quasi novello archeologo, come in uno scavo ha saputo catturare materie dense di memorie; basta leggere il sommario: dalla dinastia dei Giulio-Claudi a Puteoli colonia neroniana, dal matricidio di Agrippina nelle acque di Baia all’incontro con il re dell’Armenia fino al mattino in cui Puteoli rallegrata dallo scirocco vedeva sbarcare sul suo litorale Paolo l’apostolo delle genti: era febbraio del 61 D.C. Con sapienza antica, quasi un regale monaco medievale, Sirpettino ci informa che il vero nome di Nerone era Lucio Domizio Enobardo che divine poi Nero Claudius CaesarDrusus Imperator quando Claudio nel 50 D.C. lo adottò avendo sposato Agrippina. Nerone era nato ad Anzio nel 37 D.C.: succedette al padre sul trono senza contrasti. I primi anni del suo principato furono felici anche per l’influenza dei consiglieri Seneca ed Afranio Burro. Ebbe ottimi rapporti con il senato e nell’amministrazione dello Stato; nonostante la giovane età fu veramente capace e si ispirò al modello augusteo. Venuto, purtroppo, in contrasto con la madre, la fece prima allontanare dalla corte ed in seguito uccidere. Mentre il sole illuminava il mare di Baia all’ombra degli alberi che in alcuni punti lambiscono il mare si consumava il matricidio. Si colgono così i primi segni di un mutato orientamento. Crudeltà, gusto dilettantistico per l’arte, la musica e la poesia che si traduceva in una passione esteriore per la grecità. Morto Burro, messo in disparte Seneca, coadiuvato dall’anima nera di Tigellino, Nerone ripudiò la moglie Ottavia e sposò Poppea Sabina che nel ‘65morì, sembra, per mano sua. L’incendio di Roma nel ’64 fu a lui attribuito dall’opinione pubblica anche se Nerone diede sempre la colpa ai cristiani. Cominciano così le congiure: nel ’65 nei Campi Flegrei proprio in località di Baia quella fallita dei Pisoni che costò la vita a Seneca, Lucano ed altri; quella dei germani nel ’66, nel ’68 la rivolta, repressa, di Vindice in Gallia mentre non fu domata quella di Sulplicio Galba in Spagna del ’68 che provocò la defezione dei suoi eserciti e dei suoi collaboratori per cui fu costretto a fuggire. Nerone, resosi conto di non avere più scampo, si fece uccidere da un liberto gridando Qualis artifex pereo. L’Autore cita come fonti attendibili Svetonio e Tacito che, in fin dei conti, ci presentano un Nerone la cui personalità esprimeva le contraddizioni morali, culturali e storiche del principato nel I secolo D.C. A mio avviso Sirpettino nel suo lavoro ha usato quella che io chiamo la cultura della tradizione. Tradizione vista come qualcosadi vivo, come trasmissione di un’epoca all’altra delle conoscenze spirituali in una varietà di forme legate alle diversità storiche, etniche, ambientali ma conservando intatti i significati spirituali quali costanti della storia. Il suo è un libro che analizzando le fonti ed i racconti mitici e leggendari ci conduce per mano nell’universo del secretum e del simbolo e stimola le riflessioni. Riferendosi alle fonti originarie, con ritmo coinvolgente, come quello di un romanzo poliziesco, l’autore ci porta per mano a Puteoli, Baia, i luoghi della Sibilla, ci fa sfogliare i veli del bradisismo e ci fa sentire quel grido di Paolo seguitemi, uscendo da Puteoli sommersa nel fondo del mare, alla profondità di un braccio. Così negli Atti Apocrifi degli Apostoli con una città sprofondata, castigata perché, come anche nella leggenda, al posto di Paolo, ricercato, un suo amico, Dioscuros, ritenuto l’Apostolo, fu catturato e decapitato. Tanto da far dire a Paolo O Signore, castiga questa città. Sprofonderà come un monumento, di acqua e di silenzio, per sempre. (A. Cacopardo)
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