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E stato, forse, l’attivismo in campi diversi dal cinema (UNICEF, musica, ecologia) a distogliere da qualche tempo l’interesse per una singolare figura di regista quale è da considerarsi Emir Kusturica. Egli, tra il 1981 e il 2000, ha realizzato opere di grande estro che gli sono valse importanti premi in vari Festival. Nato a Sarajevo nel 1954, diventa allievo di Otakar Vavra al FAMU (Accademia di cinema di Praga) dove si diplomerà con un cortometraggio su "Guernica" premiato a Karlovy Vary. Lavora, poi, alla TV jugoslava e filma, nel 1979, "Arrivano le sposine" e nel 1980 "Café Titanic" (da un racconto di Ivo Andric), opere osteggiate dalla censura titoista. In esse, infatti, Kusturica va rivelando la sua particolare fisionomia, distaccandosi dal tran tran dei giubilatori del passato storico. Il vero exploit avverrà, comunque,con "Ti ricordi di Dolly Bell" (1981), un racconto in parte autobiografico che si avvale della collaborazione alla sceneggiatura del poeta bosniaco, A.Sidran. Ne è protagonista l’adolescente Zolja suggestionato da varie teorie sull’ipnosi ma, intanto, sedotto dalla ragazza succuba di un boss locale. Con bonomia viene ritratta la figura del padre imbottito di slogan sul "radioso avvenire socialista", mentre tutto intorno risalta la miseria del borgo in cui vivono. E’ una critica senza acidità quella che su quest’ambiente incide Kusturica, convinto che questa gente è frastornata da un incessante tam tam ideologico. E, meritatamente, il film ottiene il Leone d’oro per l’opera prima alla mostra di Venezia: un vero e splendido esordio. Nel 1985, Kusturica realizzerà "Papà è in viaggio d’affari" sulle vicissitudini di un padre di famiglia (incline, però, alle scappatelle). Egli verrà denunciato dal vendicativo cognato quale pericoloso dissidente e spedito per qualche anno ai lavori forzati. La storia è narrata dal figlioletto Malik che soffre di sonnambulismo (simbolo probabilmente dell’incerto avvenire del paese). La retorica di regime è fustigata con stile leggero, come nella cerimonia con cui il volo di un aliante viene magnificato quale meta storica trionfalmente raggiunta. Il film successivo sarà "Il tempo dei gitani" (1988), storia di un giovane rom asservito ad un boss che se lo tira indietro in Italia come manutengolo per azioni delinquenziali. Al di là di certe reminiscenze felliniane, il regista arriva spesso a "filmare l’anima" di questa speciale etnia anche nei suoi risvolti più oscuri. Lo aiuta a puntino la musica di Goran Bregovic che ben si adatta a quella ingegnosa farragine che caratterizza lo stile del regista. Nel 1992, anche a causa dei conflitti insorti nella sua Jugoslavia, Kusturica si reca USA dove dirigerà "Arizona dream" un film che appare alquanto sradicato dai temi a lui familiari. Ed un po’ strampalate sono le citazioni da Flaherty ("Nanook") o da Hitchcock. Capovolti risultano anche i caratteri tipici degli attori coinvolti (Jerry Lewis e Faye Dunaway); e si salva forse il solo e stralunato J.Depp. Tornato nella sua lacerata patria nel 1995, il regista mette mano ad una opera di grosse dimensioni: "Underground" (sottotitolo: "C’era una volta un paese..."). Con un lessico tra l’anarchico e il rabelaisiano, egli fa la cronistoria degli ultimi cinquant’anni a cominciare dai bombardamenti nazisti del 1941. Dallo zoo di una Belgrado devastata escono animali d’ogni tipo e un grosso elefante vagherà per la città fino ad impadronirsi delle scarpe del borsano nero Marko. Pian piano, costui viene a porsi al centro delle grottesche vicende del dramma, spesso contrappuntate da una popolaresca fanfara di trombe. Sono numerosi gli episodi tragicicomici che costellano la narrazione, ad esempio quel rito nuziale mentre i tedeschi sparano contro l’officiante o quell’ amplesso con la donnona del bordello mentre la mobilia trema tutto per i boati dell’artiglieria. C’è sicuramente del metodo in questa folle fantasia dato che è chiaro che l’angolo visivo scelto dal regista è quello satirico, ed esso è rivolto verso l’estrema brutalità di tante azioni e reazioni umane. Così, ci sarà per lui la seconda "Palma d’oro" al Festival di Cannes Nel 1998, con "Gatto nero, gatto bianco", Kusturica orienta il suo sguardo ancora una volta alla disinvolta vita dei gitani sulla sponda del Danubio. Il luogo è una sorta di "no man’s land" in cui essi trafficano, tra oche e capre in felice libertà. I tipi scelti sono spontanei nel loro frenetico gesticolare e nel loro bere ed ingozzarsi a dismisura ma con schietta allegria. La vena comica è estremizzata fino a scherzare sui morti (che, però, risorgono) e lo happy end matrimoniale non è una sorpresa con i due gatti del titolo che faranno da testimoni. Nel 2001, c’è la prima sterzata verso qualcosa d’altro:"Super 8 stories" è un documentario di montaggio di varie sequenze che registrano brani di concerti (rock, tzigani, jazz e punk) eseguiti da una singolare banda di musicanti. Il tono è quello casuale della cosidetta "serendipity", cioè il lasciar spazio all’accadimento casuale di fatti talvolta felici ma talaltra no. Un residuo di tale impostazione si ritrova anche ne "La vita è un miracolo" (2004), un bizzarro racconto su di un piccolo centro ferroviario al confine tra Bosnia e Serbia al tempo degli ultimi conflitti avvenuti nei Balcani. Tra canzoni a squarciagola, sparatorie e partite di calcio si svolge anche qualche vicenda d’amore. (E simbolo della passione respinta sarà quell’asina che, immobile sul binario, appare decisa a morire investita da una locomotiva.) Sarà il serbo Luka ad imitarla, infatuato com’è della bella musulmana. C’è grande confusione ma anche tanta vitalità espressiva in questi personaggi, che lottano contro l’avversa fatalità. Pare, comunque, eccessiva l’insinuazione di"impostura" avanzata da un critico di "Le Monde" mentre un più acuto studioso di cinema quale René Prédal ha parlato di "magia e irrazionale che diventano materia viva" anche se "la società è come cancellata della forza dell’immaginario!" Eppure, la crisi della nazione sembra gravare anche sull’anima e sull’ispirazione dell’ancor giovane cineasta serbo. L’episodio "Blue gipsy" da lui diretto per conto dell’UNICEF che ha sponsorizzato anche gli altri sei episodi ("All the invisible children" 2005) appare uno stanco "remake" del suo precedente "Il tempo dei gitani". E senza lode nè infamia passeranno le sue due ultime cose, "Promets-moi" (2007)nonchè il biopic "Maradona" alquanto fuori dalle sue corde. Insomma, una certa dispersività ha caratterizzato, negli ultimi tempi la creatività dell’estroso ed originale Kusturica cosa che accade anche ad altri autori, e non solo di cinema. Ma, come si è visto, restano non poche opere che ne contrassegnano la forte personalità di outsider del cinema dell’Est a noi più vicino e che servono ad assegnargli un posto d’onore tra gli autori di cinema dell’ultimo trentennio.
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