PETER WEIR: UN “PICCOLO MAESTRO” TRA DUE MONDI.
 







di Antonio NAPOLITANO




Picnic a Hanging rock

Per vari decenni, il cinema australiano, fino agli anni ’70, ha subìto alti e bassi nella produzione  di pellicole di buon livello.
Si sono conosciuti alcuni validi documentaristi della scuola di Harry Watt (ex-assistente del grande Flaherty): di lui è da ricordare l’ammirevole reportage sul trasferimento di enormi mandrie di bovini dalle zone minacciate dai giapponesi a quelle più sicure del Sud  nel corso del  secondo conflitto mondiale.
Negli anni ’70 l’istituzione della "Australian Film Development Co" ha contribuito a meglio valorizzare i talenti autoctoni.
Emergeranno, così, cineasti quali John Murray e Bruce Beresford e, infine Peter Weir.
Nato a Sydney nel 1944, egli ha trent’anni quando realizza il suo primo lungometraggio "Le auto che distrussero Paris" (ci si riferisce ad una cittadina dell’Australia non a "la Ville Lumière"). È  un acerbo esordio che narra di una gang di giovani che campa vendendo pezzi di ricambio per automobili da loro stessi manomesse.
Una mera esercitazione preparatoria screziata qua e là di sapida ironia.
Il colpo d’ala si ha nell’anno seguente con "Picnic a Hanging rock" (1975).
Quattro alunne di un college femminile si smarriscono nella labirintica zona di un altopiano roccioso nel corso di una gita scolastica, nel giorno di San Valentino ai primi del 900.
L’intricata vegetazione del luogo è ripresa da Weir in tutta la sua suggestività cromatica e la sua arcana atmosfera. La scelta originale del regista sta proprio nel non attardarsi sul "giallo" dell’episodio, ma nel concentrarsi poeticamente sui simboli che costellano quella magica natura e quel misterioso avvenimento.
È  un successo internazionale che porta qualcuno a definire l’autore "un piccolo maestro", capace, cioè, di collocare il proprio paese in prima fila tra le cinematografie del mondo intero. Nel 1977, "L’ultima onda"è la storia di un delitto commesso da un nativo maori che viene difeso da un avvocato "bianco".
Nel ricostruire lo sfondo degli eventi, il regista riesce a ricreare nuovamento il clima primitivo e magico di certi luoghi insondati dalla mano dell’uomo in quel nuovissimo continente.
L’opera sfugge al noioso standard dei reati dibattuti in tribunale, e continuamente ripresentati da Hollywood nei suoi format dalla ormai logora suspense.
Sempre in Australia, Weir gira nel 1979 una alquanto stramba commedia, "L’uomo di stagno", sulla sofisticata vendetta di un idraulico contro un cliente insolvente.
Nel 1981, è la volta  de "Gli anni spezzati" un drammatico film  sulla inumanità della guerra, con attori del calibro di Mel Gibson e Mark Lee. Vi è descritto l’inutile e sanguinoso assedio di Gallipoli da parte degli inglesi nella prima guerra mondiale. Ottimo è il "prologo" sulla giovinezza atletica di quelli che si immoleranno invano pochi anni dopo.
Originale ed assai interessante sarа "Witness" (1985) 
Peter Weir
realizzato negli USA, dove il regista è stato invitato a lavorare.
La vicenda si svolge in Pennsylvania nella comunità degli Amish che rifiuta ogni progresso meccanico.  In primo piano, si muove un detective (H.Ford) che risulta ben al di fuori dei soliti stereotipi ed è felicemente scansato l’esagitato ritmo da thriller, nonchè il banale "happy end" hollywoodiano.
Dopo due altre cose minori, Weir realizzerà, sempre in America una pellicola dal successo internazionale:"L’attimo fuggente" (1989), "ben realizzato e superbamente recitato", annota L.Maltin nel suo "Dizionario".
È la storia di un insegnante di college del New England (Robin Williams al suo meglio) che contagia del suo anticonformismo e della sua passione per la poesia i giovani alunni. Uno di loro, contrastato dal padre nella sua vocazione al teatro, si toglierà la vita. Sull’impianto di una sceneggiatura magistrale si imperniano degli episodi ben concatenati e la narrazione scorre senza alcun inciampo in un drammatico crescendo.
Meno riuscito sarà "Matrimonio di convenienza" (1991) girato tra Australia e Francia, con A.McDowell e G.Depardieu.
Nel 1993, tornato di nuovo in America, si avrà "Fearless" con I.Rossellini e J.Turturro: un professionista, scampato ad un incidente aereo muterà esistenza (e famiglia) unendosi alla compagna di viaggio anch’essa miracolata. C’è una ficcante  introspezione nell’animo sconvolto dei due, e l’osservazione di quanto  pesino sul destino individuale le circostanze esterne e quelle casuali.
Nel 1998, in "The Truman show" il soggetto è una favola di estrema attualità, da Fata Morgana tecnotronica (o "Grande Sorella).
L’uomo (vero? True-man?) vive le sue giornate in un enorme set televisivo senza accorgersi della fantascientifica finzione in cui è stato collocato. Ed è sorvegliato da cento telecamere in questo "teatro di posa" ch’egli crede essere il suo normale ambiente di vita e di lavoro.
A mezza strada tra inchiesta sociologica e graffiante satira, l’opera appare anzitutto come un messaggio sull’inconsapevole perdita di autenticità dell’uomo d’oggi e sul suo condizionamento da parte dei "massmedia".
Meno originale appare "Master and Commander" del 2003, avventurosa storia di battaglie sui mari nel periodo dell’impero napoleonico (un salto all’indietro di due secoli!).
E non senza ragione, i due Oscar ottenuti dal film andranno alla fotografia e al montaggio del sonoro, non ad altro.
Un "piccolo maestro", dunque, diviso fra le culture di due mondi ancora non troppo assimilabili, date le lontane radici etniche.
Weir, comunque, ha al suo attivo alcune cose che ne fanno a buone ragioni il capofila del cinema australiano d’oggi.
Si avverte in lui una notevole genuinità d’intenti che non si appanna con i temi più diversi che intende affrontare volta per volta.
Il suo è un percorso serio nonostante le oscillazioni da migrante tra un continente e l’altro. Senza tesi prefabbricate nè faciliideologismi, egli sa entrare al centro del campo per stabilire giusti rapporti con "i giocatori" da lui ben diretti.
Ha portato, così un indubbio contributo alla Settima Arte testimoniando che si può lavorare bene anche  senza ricorrere alla violenza gratuita o agli stanchi rituali del sesso esibito in tutte le pose a platee ormai sature di voyeurismo da postribolo.

 









   
 



 
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