Dalla stiva di una nave blasfema
 











cover

In un panorama letterario spesso fin troppo laccato e sentimentale, questo libro acido e feroce rappresenta una felice, eccentrica anomalia. Mai come in questo caso,poi, il titolo e l’epigrafe ci rivelano il fondo autentico da cui proviene la potenza affabulatoria e lo stravolgimento parodico-grottesco che caratterizza questo libro di Francesco Permunian, bibliotecario in Desenzano sul Garda, esordiente nel 1999c on con quel Cronaca di un servo felice , che ancora oggi si ricorda per l’interesse e lo scalpore che destò all’epoca.
Il titolo- e la conclusione -di questo nuovo libro, in cui livore e risentimento sembrano connotare ogni parola, ogni riga, sono mutuati infatti da una frase del grande scrittore polacco Gombrowicz, teorico massimo della regressione verso l’incurabile immaturità di ogni perduta giovinezza, una frase tratta dal suo diario: «Adesso scarico questi pensieri dalla stiva di una nave blasfema, come un’esplosiva merce dicontrabbando che neanche sapevo di avere a bordo». Nell’epigrafe si cita invece un grande, colpevolmente dimenticato, scrittore veneto: Guido Piovene che definisce gli scrittori della sua regione come affetti «da un misto di narcisismo e masochismo», scrittori che fanno dello sgrovigliamento dei propri "affanni psichici" la materia viva della loro opera. Due citazioni perfette a spiegare i contorni di quest’opera, diario in pubblico di un nevrastenico che attacca senza sosta servi e padroni, preti e devoti, ex sessantottini ed intellettuali in questo libro-autodafé ghignante e doloroso, che non si concede pause.
Nonostante questo sia un libro essenzialmente di odi e furori si coglie, nonostante tutto, una grande fiducia nella pratica della scrittura. È davvero così?
Sì, penso sia davvero come dice lei: io nutro ancora qualche barlume di fiducia soltanto in una forma di scrittura essenzialmente erratica e randagia la quale, per sua intima necessità, diffida istintivamente dimadame Letteratura e di tutte le sue istituzioni, beghe, gabellieri e servitori vari.
A proposito, ha letto il giudizio di Fofi sulla querelle estiva tra Scurati e Scarpa? "Una baruffa tra servi", l’ha definita qualche giorno fa un quotidiano. E meglio di così, secondo me, non si poteva dire.
Come nella migliore tradizione delle comiche con relative torte in faccia, quella linguaccia velenosa e assai invidiosa di Scurati ha rimproverato il povero Scarpa di aver dismesso gli abiti del ribelle e di essere finito tra le braccia di Papi Berlusconi, semplicemente per ricordargli che ci è voluta tutta la forza organizzativa della Mondadori per strappargli un premio che già sentiva suo.
E in effetti è andata proprio così, non ci sarebbe nulla da aggiungere. Ma a onor di Scarpa va detto che, soprattutto in questi ultimi tempi, presso la maison di Berlusconi hanno trovato comodo asilo fior fiore di antagonisti e ribelli estremi: Erri De Luca, Antonio Moresco, Luca Casarini… Insomma,una vera e propria centrale eversiva nelle stanze di Segrate, che Iddio assista il Cavaliere!
Due sono essenzialmente i ‘luoghi’ verso cui lei esprime un’avversione che non prevede remissione: il mondo delle lettere e l’istituzione ecclesiastica. Da cosa nasce tanto livore?
Naturalmente la stessa estraneità, lo stesso insopprimibile fastidio, lo provo anche verso le istituzioni ecclesiastiche , che da secoli sono luoghi di trasmissione del potere. Di esse amo solo gli eretici e gli emarginati. Tutti gli altri addetti al culto, devoti o bigotti vari, mi sono in realtà indifferenti, al pari degli addetti alla manutenzione dei tradizionali riti letterari. Le confesso infatti di provare un invincibile orrore verso qualsiasi forma di addomesticamento, visto e considerato che la mia "domus" ideale è sempre stata (e sempre sarà) collocata al di fuori di ogni potere costituito. Sia esso religioso o letterario.
Si ha la sensazione che lei coltivi e curi le sue nevrastenie consollecitudine e dedizione, preservandole da ogni disdicevole ‘guarigione’, perché sa che da esse comunque affiora il miracolo della scrittura.
Ma è appunto da questo mio bisogno di estraneità e di libertà - devo pur dirglielo - che nascono a volte certe mie paure, certe mie ossessioni e deliri visionari che poi sconto a caro prezzo sulla mia pelle, al pari di una piaga segreta e vergognosa.
E di conseguenza: «A volte, quando meno me l’aspetto, odo salire un sinistro scricchiolio dalle cose più banali; dalla normalità più ordinaria e rassicurante mi sembra che, tutto ad un tratto, possa esalare uno spiffero infernale di aria gelida. Allora è l’universo intero che io avverto scricchiolare fin dalle fondamenta e a quel punto per me è finita, non ho più nessun scampo, non essendoci alcun teatro o chiesa a questo mondo in cui mi possa rifugiare» ( Dalla stiva di una nave blasfema p.70 ).
Questo per dirle, gentile amico, che io non mi dedico affatto alla cura delle mie nevrastenie,ma che esse sono il prezzo che devo necessariamente pagare per starmene fuori da un sistema che non amo per nulla. E se nutro una qualche avversione verso coloro che invece ci sguazzano, magari camuffati da ribelli (come certi letteratissimi Indiani della Rete), beh, ammetterà che anch’io ho le mie buone ragioni, o no?
Sappia comunque che - per una questione di umana pietà (se così posso dire) - non ho scritto neppure un decimo di ciò che penso a proposito di certi mascalzoni intellettuali. In alcuni casi, il disprezzo verso costoro aveva raggiunto in me un limite tale oltre il quale, in pratica, non c’era altro che amarezza e disgusto. E un’infinita malinconia.
Il ricordo dei due fratelli incestuosi, veri e propri revenants che la tormentano, è fra le trovate più sconvolgenti dell’opera
Toti e Totina, i due fratelli incestuosi che con la loro tragica fine tormentano il protagonista della Stiva blasfema. Anche se mi riesce alquanto penoso parlare di loro, lo ammetto, dellaloro vita bacata e perversa. E del loro inevitabile destino di morte.
La verità è che a me, in sostanza, hanno sempre interessato solo e soltanto due stagioni della vita, ossia la giovinezza e la vecchiaia. Ragion per cui mi viene spontaneo collocare al centro di ogni storia una figura di bambino o adolescente (oppure qualche vecchiaccia strampalata, sul tipo della orribile contessa di Cronaca di un servo felice , il mio libro d’esordio).
Quando però gli anni giovanili volgono inevitabilmente al termine, per evolversi e sfigurarsi nella inospitale e problematica età adulta, ecco allora che il frutto dell’adolescenza non ha altra strada che marcire o impazzire. Come appunto succede a Toti e Totina, che per me rappresentano il paese natio e l’infanzia ormai morta esepolta.                                                                       Linnio Accorroni









   
 



 
30-09-2014 - Se permettete parliamo di Congo
16-06-2014 - La casta? Ce la portiamo dietro dai tempi dei Savoia
06-06-2014 - I Drengot e Aversa Normanna
27-05-2014 - Suicidi. Studio della condizione umana nella crisi
16-05-2014 - Una sola fibra d’amianto e tra vent’anni sei morto
04-05-2014 - Pisa, alla Sapienza migliaia di libri “prigionieri” e non consultabili
02-05-2014 - Il Capitale nel XXI secolo
19-02-2014 - IL GRILLO MANNARO
14-02-2014 - Unisex. L`uomo senza identità
05-02-2014 - I volti della coscienza
03-01-2014 - L’esercito ebreo di Hitler
22-12-2013 - Il Potere. Il mondo moderno e le sue contraddizioni
20-11-2013 - Il potere invisibile e l’impudenza visibile
14-11-2013 - La Chiesa di tutti
01-11-2013 - Indignez-vous

Privacy e Cookies