«Dobbiamo capire perché ragazzini di dodici o tredici anni entrano in una mara e sono disposti a dare la vita per essa». Certo, le «maras portano il terrore, ma sono queste gang le sole realtà che sembrano in grado di comprendere fino in fondo il malessere della vita di El Salvador» In un’intervista pubblicata pochi giorni prima della sua morte dal quotidiano online El Faro , Christian Poveda si interrogava così sul ruolo che le bande criminali che raccolgono decine e decine di migliaia di giovani, spesso poco più che bambini, svolgono nella società centroamericana. Il 30 settembre è arrivato nelle sale cinematografiche francesi La vida loca , il documentario di Poveda che racconta la vita quotidiana degli affiliati alla Mara 18, la più famosa e pericolosa tra le gang che insanguinano El Salvador. Il film era già passato per diverse rassegne internazionali - tra cui, nel 2008, il Festival internazionale del cinema di San Sebastian - riscuotendogrande attenzione e facendo conoscere il lavoro che il fotoreporter e documentarista franco-spagnolo stava svolgendo da tempo in Centroamerica. Nato nel 1955 in Algeria da genitori spagnoli fuggiti dalla dittatura franchista Christian Poveda era cresciuto a Parigi, ma a trent’anni si era trasferito in Salvador per seguire come fotografo, per conto del Time , la guerra civile. Negli anni Ottanta e Novanta aveva raccontato anche altri conflitti, in Libano, Iran, Iraq, pubblicando le sue foto su grandi testate internazionali come El Pais , Le Monde , Paris Match e il New York Times . Poi, la decisione di tornare in Salvador, questa volta non solo per lavorare ma anche per vivere in quel paese che aveva imparato ad amare e che sentiva un po’ come suo. Un paese che Poveda, dopo la stagione della guerra civile e della guerriglia che aveva portato a un primo sviluppo democratico, aveva visto richiudersi su se stesso, in preda a una sorta di sindrome autodistruttiva. E il volto di questacrisi era diventato per lui quello coperto di tatuaggi dei giovanissimi aderenti alle "maras" le gang di strada che nell’arco di un decennio si sono trasformate in una sorta di "società nella società" in molti paesi dell’America Latina. Nate nei quartieri dell’immigrazione latina di Los Angeles, i loro nomi evocano il numero con cui si identificano le strade nella metropoli californiana, le maras si sono stabilite in Centroamerica da quando gli Usa hanno deciso di espellere i loro affiliati, dopo che avevano scontato la loro pena nelle carceri statunitensi, verso i paesi di provenienza: con il risultato che decine di migliaia di criminali sono arrivati nello spazio di pochi anni in paesi già messi in ginocchio da guerre e povertà. E in particolare in Salvador tutto ciò ha provocato un’escalation di violenza davvero terribile: attualmente nel piccolo paese centroamericano si calcola vi siano una media quotidiana tra le dieci e le quindici morti violente, secondo le autorità in granparte riconducibili alle azioni delle due gang principali, la M18 e la MS13. Poveda era reduce da un incontro con alcuni appartenenti alla Mara 18 anche quando è stato ucciso. Il suo lavoro non si era infatti concluso con la realizzazione di La vida loca , anzi, il reporter aveva acquisito un tale rapporto con gli aderenti alle gang da essere indicato recentemente come un possibile "mediatore" tra le stesse maras e il governo di El Salvador. Per questo quando il corpo del reporter è stato trovato privo di vita la mattina del 2 settembre - Poveda è stato raggiunto da diversi colpi di pistola alla testa -, a bordo del suo fuoristrada nella zona della Campanera, un sobborgo povero e sovrappopolato vicino a Tonacatepeque, a nord della capitale del Salvador, regno incontrastato della Mara 18 e "location" principale di La vida loca , in molti si sono chiesti chi avrebbe potuto desiderare questa morte. Poveda aveva infatti puntato più volte il dito contro i metodi della forze dell’ordineche più che prevenire il crimine originato dalle gang hanno dato da tempo il via a una vera caccia all’uomo senza esclusione di colpi che ha portato all’eliminazione di molti leader delle maras. E i dubbi sui veri mandanti dell’assassinio di Poveda sono rimasti tali anche dopo l’arresto di quattro persone, tra cui un agente della polizia locale, legate a un capo delle gang che sarebbero coinvolte, secondo le autorità salvadoregne, nell’omicidio. Se la morte del reporter ha avuto vasta eco in tutta l’America Latina, in Europa è la Francia, dove Poveda era nato, il paese dove si sono posti più interrogativi sulla sua scomparsa. «Chi ha ucciso Christian Poveda?» si è chiesto così l’ultimo numero del settimanale francese Le Nouvel Observateur che ha dedicato al caso un ampio servizio, mentre "Envoyé spécial", trasmissione d’inchiesta della tv pubblica France 2, ha ospitato il 1 ottobre un servizio curato Frédéric Faux (autore di un libro sulle maras presentato in queste pagine) che cercavaproprio di far luce sulla morte del reporter. Tra le ipotesi più accreditate, quella che parla di una trasformazione della "leadership" delle gang: lavorando per anni a contatto con i membri delle bande di strada, Poveda aveva acquistato credibilità e riconoscimento tra i loro aderenti e i loro capi, ma omicidi e arresti avrebbero portato negli ultimi mesi a una rapida modifica della scena criminale del Salvador fino a rendere del tutto marginali i contatti e le conoscenze di cui goveva il reporter. Con il risultato che i nuovi venuti - Poveda stesso aveva parlato di "pazzi furiosi" ascesi alla guida della Mara 18 solo pochi giorni prima della sua morte, mentre cercava di organizzare un incontro di una giornalista di Elle con alcune donne della gang - avrebbero visto con sospetto sia i tentativi di pacificazione tra le maras proposte dal reporter che la sua conoscenza dei meccanismi interni alle gang: in un mondo dominato dalla paranoia e dalla violenza, abbastanza per decidere dellasua esecuzione. Guido Caldiron