Da quasi un ventennio sussiste in Italia un anomala forma di censura cinematografica dovuta in parte al mercato e in parte alla scarsa importanza attribuita ai film d’autore. Sono i due fattori che praticamente ostacolano l’ingresso di opere realizzate all’Est da ottimi cineasti cechi, polacchi, russi o ungheresi. Esse vengono ritenute poco utili ai fini del "campionato d’incassi", quella classifica che passa, ormai, come indice del valore dei film (e non solo da parte dei noleggiatori). Tra i "reprobi"in tal senso si annovera la magiara Marta Meszaros , un nome che -forse per le suddette ragioni- risulta assente nella cosiddetta "Enciclopedia tematica- Cinema (L’Espresso Grandi Opere, 2005). Eppure si tratta di una regista vincitrice di vari premi dal "B.Balasz" in patria a quelli di Berlino, San Sebastiano, Cannes eccetera. Nata nel 1931 a Kispest, un sobborgo di Budapest, Marta ha avuto un’infanzia infelice da quando il padre esiliatosi in URSSrimase vittima delle spietate purghe volute dal "piccolo padre" J.V.Stalin. Adottata da una ortodossa funzionaria del partito bolscevico, è riuscita però ad andare avanti negli studi fino al diploma in regia col cortometraggio "Tutti i bimbi dovrebbero sorridere" (1957). Sposatosi col collega Miklos Jancso, ha con lui vissuto e lavorato per qualche tempo in Romania. Dopo la separazione, è tornata in Ungheria, e ha realizzato tra il 1959 e il 1967 diversi documentari sui più disparati argomenti. Nel 1968 ha girato il suo primo lungometraggio "Cati" ("The girl") che narra delle traversie di una ragazza. E’ l’opera che rivela quanta lucidità e sensibilità brillino nello sguardo della cineasta tanto attenta alla questione femminile. Nei due anni seguenti "Maria" (1969) e "Nessun pianto, graziose ragazze!" (1970) verranno a confermare la sua capacità di esplorare "l’altra metà del Cielo". Nel 1973 "Senza legami" è la storia dell’operaia Jutka chesi innamora di uno studente nascondendogli però il genere di lavoro (umile) da lei fatto per vivere. "C’è aspra e asciutta amarezza nell’analisi... della arretrata condizione della donna anche nella società socialista" commenta M.Morandini. E con toni per nulla accesi e nient’affatto polemici la Meszaros nel 1975 tratta in "Adozione" il problema della maternità frustrata. La pellicola vince l’"Orso d’oro" a Berlino e ottiene il premio dell’OCIC (Centro Cinematografico Cattolico) per i "valori umani intrinseci al suo discorso". Nel 1976, con "Nove mesi" vengono smascherate le forme ipocrite di un certo "romanticismo" mascolino. Nuovi altri premi (FIPRESCI etc.) le permetteranno di potere ingaggiare note attrici straniere, da Marina Vlady e Marie Josè Nat (per "Quelle due" 1977) a Delphine Seyrig per "Madre e figlia" (1981). Col progressivo venir meno dell’oppressione politica la regista nel suo "Diario per i miei figli" (1984) potrà raccontare ilproprio dramma di orfana di un internato nel Gulag, non celando i tratti del suo forte carattere fin dall’adolescenza e descrivendo con coraggio il clima di esasperante controllo perfino nella vita intima dei parenti di un condannato. Insisterà ancora nell’autobiografismo con "Diario per i miei amori" (1987) (o passioni?). In esso espone le vicende di Juli che studia e lotta per diventare regista nonostante tutto e tutti. Ben sistemati sono gli inserti documentari che danno il senso dell’autoritaritarismo in ogni manifestazione pubblica (applausi automatici e consensi a comando). Un’interessante digressione stilistica è rappresentata invece nel 1989, da "Addio Cappuccetto rosso", rivisitazione in chiave moderna della favola di Ch.Perrault. La bambina, trasferitasi con la madre (separata) in Canada presso la nonna paterna, incontrerà un strano tipo di lupo parlante che vaga per quei boschi. Il technicolor è usato con indubbio talento e riesce a far splendereogni foglia, fiore, e ramo della foresta ai fini di un vero proprio apologo ecologico. E il cacciatore che alla fine salverà la bimba dal vermiglio copricapo avrà il volto del padre sempre da lei vagheggiato nell’immaginazione. Dopo alcuni telefilm, nel 1995, "La settima stanza" verrà dedicata al sacrificio di Edith Stein, la filosofa ebrea (convertita al cristianesimo) e morta ad Auschwitz nel 1942. La sua breve esistenza è descritta in modi vibranti anche se con periodi ellittici. La Stein dovrà attraversare le sette stanze del sacrificio come nella visione di santa Teresa d’Avila cominciando dal ripudio da parte della madre fino al momento della conversione e alla camera a gas del lager nazista. L’interprete, la rumena Maia Morgenstern, è sempre all’altezza del complesso personaggio, e buone prestazione offrono anche le nostre Adriana Asti ed Elide Melli. Tra il 1997 e il 2000 la regista lavorerà in Polonia ("La figlia della fortuna",(1999) e "Vilna" (2000) e e altre cose minori). Nel 2001, tornata in Ungheria girerà "Il Mandarino maraviglioso": secondata da ottimi operatori riuscirà di nuovo a radicare la storia in un ambiente disegnato con prezioso realismo (come già aveva fatto per "Cappuccetto rosso"). Nel 2004, "L’uomo insepolto" è un docudrama realizzato alla memoria di Imre Nagy, un socialista dalla coscienza libera. Egli pagherà con la vita questa sua indipendenza morale dopo l’invasione sovietica del 1956. La Meszaros illustra all’inizio, la protesta della figlia del coraggioso premier: la donna, dopo la caduta del Muro (1989) si è poi decisamente impegnata per conoscere almeno il luogo in cui è stato sepolto il padre. Con flashback di stile rigoroso vengono ripercorse le drammatiche tappe del processo ed è messa a fuoco la malafede degli accusatori, al servizio di Mosca. Nel complesso l’opera è un cinema-verità su fatti che ancora scottano e che hannocoinvolto diverse personalità dell’Occidente: un affresco storico su delitti che non possono essere archiviati come "incidenti di percorso". Si tratta perciò, di un lavoro che nobilita la regista magiara anche al di là dei suoi pregi cinematografici. Tanto più che la Meszaros ha saputo tenersi lontana dal vittimismo e dal rancore come una stoica testimone di quelle vicende, così inducendo lo spettatore a ben riflettere sulle menzogne degli imbonitori politici che possono allignare in ogni paese.
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