I melodrammi d’amore
 







Boris Sollazzo




Siamo sinceri, i melodrammi d’amore non sono mai stati la punta di diamante del cinema italiano, anche ai tempi d’oro erano zoppicanti e retorici inni a un sentimento banalizzato. Non a caso i pochi esperimenti riusciti vedono firme illustri e sono figli di epoche molto lontane. Provarci, quindi, e farne un esordio, a suo modo è coraggioso, sebbene gli stilemi e gli stereotipi del genere- lo sanno bene i francesi- possano essere un percorso obbligato rassicurante. Ma allo stesso tempo pericoloso. L’esordiente Valerio Mieli, fresco di Centro Sperimentale, però, in Dieci Inverni si ritrova tra le mani un bel cast con una coppia di giovani attori pieni di talento- Michele Riondino (come Emile Hirsch lascia il segno in ogni ruolo, primario o secondario) e Isabella Ragonese (in costante crescita) -, una coproduzione con buone risorse e ottimi talenti, due location di grande impatto (la Russia e Venezia). Basta questo a confezionare il suo Prima deltramonto , un inno all’amore a prima vista che non comprende se stesso, a un sentimento che ostinato continua a crescere e cercarsi nonostante la goffa e autolesionista tendenza di chi lo prova a rifiutarlo, schivarlo, a sacrificarlo a circostanze sbagliate, errori e paure.
Nulla spaventa più le persone che essere felici, e questi due ragazzi che si conoscono all’alba del loro percorso universitario passeranno dieci inverni a rincorrersi per poi lasciarsi, a prendere decisioni giuste al momento sbagliato (e viceversa), tra un pronto soccorso e un matrimonio in cui suona, addirittura, Vinicio Capossela (bel cameo in musica). Lacrime e speranze, un vaporetto galeotto (chi l’ha preso sa quanti sguardi e quanti amori ha fatto nascere questo mezzo pubblico tanto atipico) e una casa isolata e adorabile sono i loro approdi continui di arrivo e ritorno, l’opera gira attorno ai suoi punti cardinali per non perdersi mai. E alla fine risulta piacevole, si fa perdonare qualche ingenuità,soprattutto di scrittura, e un paio d’inverni di troppo, e ci accarezza occhi e cuore con delicata bravura.
Mieli non è mai invadente con la sua macchina da presa, la coproduzione, pur molto presente, ha sempre una sua coerenza- la Russia e i russi sono parte del racconto e non posticce giustificazioni di un finanziamento (ottimo lavoro, organizzare una coproduzione in Italia sa di miracolo)-, l’alchimia tra i protagonisti è sempre solida ed efficace. Quei dieci anni, peraltro, non provocano insopportabili giochi di trucco e parrucco, ma lievi e visibili cambiamenti, con Riondino che diventa adulto rimanendo bambino con la faccia da schiaffi, e Isabella Ragonese che si mostra bella in tutti i suoi cambiamenti, fino a un inedito look con capello corto. Entrambi evidenziano le loro fisionomie da romanzo russo, i lineamenti da giovani eroi letterari, senza perdere carattere e modernità. E gli inguaribili romantici usciranno con un sorriso soddisfatto, anche se i grandi amori sonosoprattutto grandi fatiche. D’altronde è l’impresa e la sfida che nascondono a renderli tanto dolorosi e necessari. Buona la prima.

 









   
 



 
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