CARLO VERDONE
UNA SATIRA MAI VOLGARE
 







di Antonio NAPOLITANO




Agli inizi degli ’80 sullo sfondo della commedia all’italiana, si profilano nuove tipologie e topologie di satira ad opera di giovani registi, da Troisi a Moretti eccetera.
Spicca tra loro Carlo Verdone, romano, figlio di Mario, noto storico del cinema, cui non mancano, perciò stimoli a conoscere e ad appassionarsi all’arte delle immagini in movimento. In più, ha felici occasioni di incontrare in casa proprio un De Sica, un Leone, uno Scola. Confesserà, però, di essersi preso assai presto una "cotta" per J.Lewis, il "Cenerentola della folla solitaria", l’imbranato per antonomasia.
Ad ogni modo, si fa le ossa al Centro Sperimentale dove, a 24 anni, si diploma in regia con un "corto" ispirato ad un racconto di A.Cechov ("Anjuta").
Per conto suo ha girato nel ’69 un strano "poemetto": "Poesia solare"  sotto l’influenza della moda psichedelica. Di fatto troverà la sua vera strada nel 1980 con "Un sacco bello", cominciando a disegnarealcuni bizzarri personaggi della gioventù romana di quel tempo, velleitaria e cialtrona.
Da attore camaleontico è lui stesso a configurare sia il bullo in cerca di compagni per un viaggio "erotico" in Polonia, o il remissivo "capellone" strapazzato dal genitore ex-stalinista o il "mammone" concupito dalla caliente turista spagnola. Verdone sa inventare nuove smorfie (lo sguardo sbieco verso l’alto), gesti di apatia o di ambigua remissività senza mai dare in trivialità. C’è una sorprendente naturalezza nel suo saper rendere gli atteggiamenti più strambi e imbarazzati.
Essa si ripresenta nel successivo "Bianco, rosso e Verdone" (1981) in cui da attore, assume i vari ruoli dell’emigrato di ritorno in Italia, del marito pignolo ed ossessivo, e del nipotino premuroso di una nonna pletorica e assillante.
Così, ancora una volta riesce a rifare comicamente i vari tic gestuali e verbali dei tanti personaggi italioti del presente dimostrandosi effettivamente "dotato di uneccezionale capacità mimetica" (G.P.Brunetta).
E  recita tali caricature con toni assai poco aggressivi, lontani da quel facile sghignazzare e sbraitare che ingorga le pellicole più volgari dell’epoca.
Qualche residua fragilità rivelano, secondo noi, "Borotalco" (1982) e "Acqua e sapone" (1983). Nel primo sembra quasi controproducente la presenza  di una E.Giorgi e di un Ch.De Sica, pressochè tirocinanti.
Più convincente risulterà nel 1984, "I due carabinieri" dato il contributo del poliedrico Montesano (e dell’ottima sceneggiatura di Benvenuti-Bernardi).
Altra virata positiva è costituita da "Compagni di scuola" (1988), una carrellata su una gioventù poco adulta che si mostra egocentrica e devota solo al dio consumo.
Qualcuno si diverte con scherzi da chierichetto(Tony, l’attore  semifallito), qualche altro (Verdone stesso) detto "er Patata" rivela di non aver superato i complessi adolescenziali.
E Nancy Brilli interpreta a suo agio la partedella semisvanita padrone di casa. Il film è condotto con mano sagace e arriva, in fondo, "a scaricare in una risata la tensione emotiva che si è andata creando". (F.Bolzoni).
Dopo altri (e frequenti) exploit lo stile trova uno suo equilibrato livello: così, in "Maledetto il giorno che t’ho incontrato" (1992) in cui si svela una matura autocritica attraverso coraggiosi dettagli autobiografici. E’ l’incontro tra due pazienti di un studio di psicanalista, lui (C.Verdone) critico-rock e lei (M.Buy) ambiziosa starlet. Nonostante i molteplici intrecci le vicende non si disperdono n¨¨ si attenua la loro carica d’ironia. Non ugualmente aguzzo risulta "Al lupo, al lupo" dello stesso anno: l’iperattività può esser mala consigliera.
Invece, nel 1995 in "Viaggi di nozze" Verdone ritrova il sarcasmo intelligente e al contempo comprensivo che gli permette di incidere senza troppo ferire. Sono tre episodi  con tre coppie dalle vicissitudini grottesche se non risibili e pietose.Qui soprattutto le attrici aderiscono con slancio ai rispettivi ruoli, vedi la Pivetti e  la Gerini. Nei dialoghi è ininterrotto il battibecco ai limiti della cacofonia nonchè il consueto sbracciarsi che fa da contorno vivace alla misera comunicazione. In "Sono pazzo di Iris Blond" (1996) pare quasi che "il capo comico si sia messo al servizio della protagonista" (annota giustamente M.Morandini). Peraltro, si manifesta un’aura particolare allorchè l’attore ha intenerimenti al limite del fanciullesco che non escludono reazioni di confusa ilarità. Un umore esacerbato viene fuori invece ne "Il gallo cedrone" (1998). Non più sornione, il Feroci è il personaggio di un omologato al livello più basso. Il tratto tranchant va giù pesante, con qualche corto circuito tra comicità e ridicolo che appare fuor di luogo.
Nel 1999, in "C’era un cinese in coma" si salva la recitazione di Verdone come attore "in bilico tra grottesco e commozione" ma risulta assai poco assistito da unFiorello e dagli altri. Quattro anni dopo viene realizzato "Ma che colpa abbiamo noi" (2003).
Nel "press-book" lo stesso autore ammette di stupirsi "di avere due anime recitative ... quella virtuosistica e quella canonica e più moderata".
C’è di nuovo uno sguardo perforante sulla psicanalisi (qui, di gruppo).. Comunque si nota un bel ripescaggio del gusto per la risatina senza moralismo, e qualche gustoso atteggiamento (alla Langdon) tra lo stravagante e il lunatico.
Nel 2004, Verdone gira "L’amore è eterno finchè dura" con una Laura Morante, anche essa psicologa da talk-show che estromette il marito oculista (C.Verdone) dal domicilio coniugale, a causa di una sua capricciosa scappatella.
Il racconto infila i suoi perni sugli stereotipi delle "colonne" redatte dagli pseudo-Soloni del freudianesimo spiegato al popolo dei lettori delle tanti riviste "patinate".
A tratti, il riso prende qualche curva di cinismo, dato l’ennesimo fallimento di questi progetti umanifacilmente deperibili. Ma i due coniugi imboccheranno poi un loro personale sentiero così da non accedere al solito dramma d’uso contemporaneo.
Il ventesimo film "Il mio migliore nemico" (2005) è una svolta che nel gioco che Verdone instaura spesso con la cronaca attuale.
Si sviluppa uno strano legame tra un manager e un giovane la cui madre è stata licenziata dall’altro. Non sempre le situazioni si intersecano con precisione (la sceneggiatura evidenzia una faticosa elaborazione). Probabilmente, al regista-attore, sarebbe giovata un’attività intervallata da più meditate (e lunghe) pause.
Ciò appare confermato da "Grande, grosso e Verdone" del 2008 in cui temi scabrosi quali pornografia e vampirismo appaiono trattati con estrema nonchalance.
La capacità di riflettere in modo meno affrettato si ritrova nell’ultimo lavoro "Io, loro, e Lora" (2009). Don Carlo è il missionario che, al suo rientro dall’Africa, trova i familiari in pieno sbandamento, solopreoccupati dal dio denaro e del sesso.
L’anziano padre svanito si è risposato con la badante e si sente anche tentato dalla di lei figlia. In tal modo viene ottenuta una colorita panoramica sullo sfascio italiota (che non è soltanto a livello politico). Insomma, senza quella vena un pò maligna del Sordi più graffiante, anche Verdone ha tessuto molti fili della amara commedia che da un trentennio si svolge nella nostra penisola. Ciò anche grazie alla sua versatilità di comico che gli ha valso in Francia l’attributo di "Fregoli del nostro tempo" (J.L.Passek).
Ed ha finito con l’affrescare anche lui una interessante galleria di tipi e tipacci, ingenui o nevrotici, remissivi od ossessivi, ritratti con sincerità senza trivialità (mettendo al bando quel turpiloquio che aduggia tante pellicole odierne fatte per adescare le platee più rozze).
Ciononostante, ha sottolineato con incisività le carenze che affliggono la nostra "società liquido-moderna" (Z.Bauman) e il suoteatrino quotidiano, le cui marionette paiono agitarsi in un andirivieni senza bussole e senza princìpi.









   
 



 
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