-In questa Italia sembra di vivere in un pesce d’aprile-
 







Roberta Ronconi




Bersani lo ricordiamo una quindicina d’anni fa che era proprio un bel ragazzo, con gli occhi verdi e i capelli boccoluti nero corvino. Cantava Chicco e Spillo e non sembrava nemmeno troppo stupido. Poi, nel tempo, ci è venuto da pensare che avesse anche una voce piacevole e che i suoi arrangiamenti fossero interessanti, da persona che conosce la musica. Sbriciando i video e approfondendo ci siamo rese conto di avere di fronte una persona dal gusto raffinato, che ci ha sorpreso sempre più piacevolmente - ricordate a Sanremo, nel 2000, la bellissima Replay ? - fino al botto delle due targhe Tenco con l’abum Caramella smog .
Samuele Bersani ci fa perdere la testa, nel senso che con la sua musica melodica ma accompagnata da testi importanti, la faccia da ragazzino carino e gli occhi seri dietro gli occhiali di tartaruga non si sa mai come classificarlo. E’ un cantante di motivi molto piacevoli e anche di grande successo, un musicista di livello o uncantautore di un genere nuovo? O tutte e tre le cose insieme? Manifesto abusivo (Sony Music), l’ultimo suo album uscito nello scorso ottobre, fuga i dubbi: a 18 anni dall’esordio, Samuele Bersani è un cantautore, con una bella voce, un gusto musicale non irrigidito da schemi fissi e una passione per testi che amano spaziare dall’intimità al sociale, mescolando continuamente i piani. Dal 25 marzo è in tour teatrale (assieme alle chitarre di Tony Pujia e Andrea Pistilli, alla batteria di Marco Rovinelli, alle tastiere di Giampiero Grani e al basso di Davide Beatino) che lo vede questa sera a Milano, poi Parma, Firenze, Roma, Napoli e via scendendo. E poi risalendo.
Perché scegli volutamente i teatri per i tuoi tour?
E’ dal 2000 che ho deciso che il teatro, con la sua struttura acusticamente pensata anche per il suono, è il set che prediligo per i concerti. E’ un luogo antico, di quelli dove trovi ancora la targhetta con su scritto "silenzio!", la musica te lagusti meglio. E poi i miei tour sono spesso a metà strada tra concerto e reading.
Già, forse perché è proprio la tua musica che sembra a metà strada tra pop, autorialità più spinta, tentazioni intime e grandi afflati sociali. Diciamo che sei una delle figure più poliedriche del panorama italiano, in questo momento.
Il fatto è che la musica non ha limiti, a parte forse quelli imposti dalla metrica del verso. A me piace usarla soprattutto per dire delle cose. Cose mie, personali, ma anche cose che riguardano il mondo in cui vivo. E’ il mio modo di parlare e di partecipare.
In questi 18 anni trascorsi dall’esordio però sei molto cambiato. "Manifesto abusivo" non è certo come "C’hanno preso tutto".
Cambiare è normale. Si cresce, si diventa più consapevoli di tante cose. Sì, è vero, sono diventato un po’ più cantautore, anche se è una parola di quelle che oggi quando la pronunci c’è chi si tocca. Una volta invece era una figura epica. E poi ame le canzoni servono spesso per farmi autoanalisi. Le faccio e poi, riascoltandole, capisco cose che prima non avevo afferrato.
Non conoscendoti, dai l’idea di una persona introversa, che magari preferisce starsene a casa a comporre piuttosto che stare sui palchi.
No, invece di solito non vedo l’ora di andare in tour. Adoro uscire di casa dopo i tempi di lavorazione di un disco, andare in giro a confrontarmi, incontrare persone nuove. Per questo ultimo album tra una cosa e l’altra sono rimasto chiuso in casa per tre anni. Non ce la facevo più!
Che scaletta segui per questo tour?
Semplice: inizio dall’inizio e finisco dalla fine. No, davvero, la prima canzone che canto di solito è "Non portarmi via il nome". E’ di dieci anni fa e inizia così: «Sono nato proprio qui, padre comunista di Cattolica, mia madre un mezzo soldato...». E finisco magari con "Pesce d’aprile", ritratto di un mondo che diventa sempre più cinico.
Quattroanni fa cantavi "Lo scrutatore non votante", oggi "Pesce d’aprile". Rispetto a quello che ti circonda, eri più scettico allora o oggi?
Decisamente oggi. Mai come in questi mesi mi è chiaro chi non mi piace. Ma il problema è che non capisco chi mi piace e perché. Mi sento in crisi. Anche se sono nato nel 1970 ho fatto in tempo ad andare ai comizi di Berlinguer con i miei genitori. Allora era più semplice vivere la politica. Oggi l’aspetto televisivo-pubblicitario mi sembra troppo pesante. Mi ha fatto perdere le coordinate.
A proposito di politica...in "Manifesto abusivo" c’è un ritratto della tua Bologna mica leggero.
Anche se finisce con una dichiarazione d’amore....Però è un fatto che Bologna è cambiata, vittima di un conservatorismo che prima non le apparteneva. Di sera giri per la città ed è tutto chiuso. Una volta Bologna sembrava non dormire mai. Ma non vorrei scadere nel nostalgico...
Bellissima, per noi romani, la dedica che faialla capitale con la canzone "Ragno", scritta da Angelo Conte. Ne esce fuori anche una tua voce caldissima.
Grazie, sono contento che piaccia questa canzone non mia. Non sempre la mettiamo in scaletta nei concerti. Ma a Roma ci sarà senz’altro.









   
 



 
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