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Sandro Bondi sbatte la porta. E’ un gesto ai confini dell’isteria quello del ministro della Cultura che diserterà Cannes in polemica con "Draquila" di Sabina Guzzanti, presentato fuori concorso al festival. Il comunicato che annuncia la decisione è scarno e sembra uscito dalle macchine da scrivere di qualche Minculpop cinese o iraniano: « Sandro Bondi ha declinato l’invito a partecipare al prossimo festival di Cannes, esprimendo rincrescimento e sconcerto per la partecipazione di una pellicola di propaganda, "Draquila", che offende la verità e l’intero popolo italiano». Esegeti del terzo millennio, l’Italia s’è desta e ripudia la cinematografia che sporca l’immagine del Paese. Per il poeta e ministro più berlusconiano del bigoncio, "Draquila" non avrebbe il diritto di essere mostrato al mondo. E poiché Cannes è purtroppo una vetrina aperta e democratica, ecco che il rappresentante della cultura italiana preferisce rimanere a casa,imbronciato come quegli invitati che all’ultimo minuto, ormai col frac addosso e le scarpe lucidate, scoprono che nella serata dovranno sedersi accanto ad un personaggio odiatissimo e dunque, precipitosamente, si rinserranno in camera lanciando urla di sdegno. Per il ministro della Cultura francese, Jacques Lang, «Bondi ha una strana concezione della libertà» e la sua posizione è «puerile, infantile, capricciosa, incomprensibile da parte di un ministro della Repubblica». E lo dice il rappresentante di un governo di centrodestra - anche se, bisognerebbe dire, Sarkozy non sembra molto liberale con i giornalisti che scrivono gossip sul conto di Carla Bruni (li fa licenziare). Potremmo aggiungere che Bondi ha anche una strana concezione della cultura, visto che sembra preferire quella ossequiosa, meglio se patriota. O meglio: quella che esalta le qualità della nazione, quella agiografica. Forse bisognerebbe ricordargli, ma è svilente farlo, che la cultura è anti-sistema perdefinizione. Ma, paradossalmente, è il miglior lancio pubblicitario di sempre: schiere di critici cinematografici faranno la ressa per vedere "Draquila", quel documentario della comica italiana già colpita dalla censura berlusconiana. E poco importa a questo punto della qualità del documentario. Guzzanti diventa automaticamente la Michael Moore italiana, la satira-giornalista che colpisce dove il nervo è scoperto, che addirittura provoca il gesto inconsulto di un ministro. Del boomerang se ne sono accorti persino in casa Pdl: il finiano Granata e Margherita Boniver hanno espresso perplessità e chiedono a Bondi di ripensarci perché il suo compito istituzionale è quello di rappresentare l’Italia - e non solo una parte, quella berlusconiana - in una delle più importanti kermesse cinematografiche a livello mondiale. Inutile fare paragoni con gli altri Stati democratici: non ce ne sono. Ormai l’Italia si avvicina, nelle pratiche politiche e nel clima persecutorio, a quei Paesi chenormalmente stanno in fondo nelle classifiche della libertà di stampa e opinione come Cuba, Cina, Iran e via discorrendo. Dove, certamente, registi e intellettuali scomodi ricevono trattamenti ben peggiori di Guzzanti e compagnia, questo va detto. Ma dove, per certo, i rappresentanti del potere non hanno pudore nel mostrare odio per autori e opere scomode. Dicevamo: con il "mal geste" bondiano Sabina Guzzanti guadagna milioni di punti nella scala degli intellettuali antiberlusconiani per definizione, ovvero quelli che hanno fatto dell’antiberlusconismo una professione. Tra questi, naturalmente, ci sono Travaglio e Santoro. Negli spezzoni promozionali di "Draquila"(tagliati, come ha puntualizzato Guzzanti) e mandati in onda nell’ultima puntata di Annozero, l’attrice appare travestita da Berlusconi mentre vaga e balzella nel centro deserto e colmo di macerie dell’Aquila, in un monologo egotico e autoesaltatorio che lascia perplessi. Perché? Perché la satira del premier è ormai logorae, dispiace dirlo, non strappa alcun sorriso. Ora, se è vero che "Draquila" parla della ricostruzione e non vuole essere solo satira anti-governativa, è altrettanto vero che l’ossessione (anti)berlusconiana di Sabina Guzzanti - non più divertente ma nemmeno tragica - suscita inquietudine. Dal giullare-Guzzanti non sprizza satira né gusto dello sberleffo, semmai accanimento. Giustificato, libero, giusto, per carità. Ma la sensazione è comunque quella di trovarsi di fronte ad una monomania che con l’arte, la satira e la politica poco ha a che fare.
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