C. GORETTA, UNO SVIZZERO ANTIBORGHESE
 







di Antonio NAPOLITANO




Claude Goretta

La nascita del cinema svizzero può essere datata, di fatto, al 1957 quando Claude Goretta (Ginevra, 1929), insieme con A.Tanner, J.J.Lagrange, M.Soutter e J.L.Roy, fonda il "Gruppo dei cinque" "per una presa di coscienza più rigorosa dello stile di vita elvetico".
E proprio in quell’ anno Goretta e Tanner realizzano "Nice Time", docufiction sulla gioventù e i suoi mutati costumi visti  come tendenziali proteste antiborghesi.
Nel 1963, il cineasta ginevrino gira (da solo) "Dimanche de mai" e "Cechov o lo specchio delle vite perdute", due telefilm di alto livello formale.
Il 1965 è  l’anno di "GianLuca perseguitato" adattamento del testo di C.F.Ramuz. In esso è convalidata la denuncia dello scrittore contro "l’ateismo  passivo" della sua gente e la diffusa irreligiosità nella pratica di vita.
"Vivere qui" (1968) è una sorta di reportage su di un "petit bourgeois" che vive a Ginevra un’esistenza monotona, puramente egocentrica, priva di slanci e di ideali.
"Le fou" del 1970 è, in concreto, il primo vero lungometraggio in cui si viene a dilatare la critica antiborghese del regista.
Infatti, il "matto" del titolo appare l’unico personaggio ricco di impulsi vitali nella "rivolta  verso una società così calvinisticamente mercantile" (L.Miccichè).
Anche "Il giorno delle nozze" si rivela una satira del conformismo tanto diffuso nella confederazione.
Una umorosa presa in giro di tale "perfetta comunità" si ripresenta ne "L’invito" (1973), in cui una semplice festicciola tra amici degenera in una indiavolata bagarre, tra insulti e sconcezze varie. Stavolta il regista è sulle orme di un Durrenmatt o di un Frisch ed attinge ad un risultato brillantissimo.
Le menzione speciale a Cannes segna, così, l’inizio di una notevole carriera  in Europa.
Nel 1974, "Il difetto di essere moglie" con Marlène Jobert e G.Depardieu, è la vicenda di un mobiliere che, sull’orlo del fallimento, decide di darsi alle rapine. Le figure sono disegnate con arguzia anche se certe sequenze appaiono pleonastiche.
Due anni dopo, per la TV Goretta gira un interessante "biopic" sul medico e riformatore Michele Serveto,arso sul rogo a Ginevra nel 1553, vittima del fanatismo religioso, allora ai suoi estremi.
Un’ottima realizzazione è, nel 1977, "La merlettaia", storia dell’amore infelice tra uno studente di agiata famiglia e una giovane artigiana, Beatrice, detta "Pomme" dato che appena può, dà qualche morso ad una mela.
Quando lo studente l’abbandonerà, Pomme si ammala e viene ricoverata in clinica psichiatrica. E acuta l’analisi di questa disgregazione molecolare di un  rapporto e del crollo progressivo del soggetto più debole.
L’interprete del "cuore semplice" distrutto dal disamore è Isabelle Huppert, senz’altro all’altezza del difficile personaggio.
"La provinciale" (1981) rappresenta, più o meno, un ritorno a temi analoghi, con l’inclusione di qualche tinta più
romanzesca e una minore sobrietà espressiva.
Nathalie Baye è, comunque, ben compresa del ruolo.
Nel 1983, "La morte di Mario Ricci" è la descrizione della inchiesta svolta da un giornalista che finisce per svelare le vere cause della morte di un operaio italiano nella "cronometrica" Svizzera.
Le inquadrature sono così ben configurate che T.Kezich è indotto a scrivere: "ogni particolare pare invitare  ad una riflessione approfondita".
Ed è ricca la tessitura delle circostanze dalle quali vien fuori quanto di ipocrita graviti nell’atmosfera morale della cosiddetta "pax helvetica".
In perfetto asincronismo è utilizzata la musica di Vivaldi a commento delle sequenze più importanti.
G.M.Volontè meriterà, a Cannes, il premio come attore protagonista del racconto-reportage.
Nel 1985, il regista dà vita ad una versione filmica del "Orfeo" di Monteverdi di assai pregevole fattura. In non poche scene si ritrova l’aura del poemetto di R.M.Rilke con le sue iridate evanescenze e le magiche euritmie.
Nell’opera "Se il sole non tornasse" (1986) viene trascritto in immagini un’altro testo di C.F.Ramuz che descrive l’incubo di alcuni valligiani oppressi dalla paura  che l’inverno si prolunghi senza fine e che, perciò, si avvicini la fine d’ogni esistenza.
Nel quinquennio che segue Goretta lavora precipuamente alla TV per una serie dedicata ad alcuni romanzi meno noti di Simenon e con un formidabile Bruno Cremer nelle vesti di Maigret. C’è un uso raffinato dei cromatismi e dei giochi di luce tra la nebbie che è degno di menzione perchè viene a riscattare la scarsa novità dei temi trattati.
Nel 1991, il regista accetta di portare sullo schermo l’exploit narrativo dell’allora ministro N.Sarkozy "Le dernier été". E’ la tormentata vicenda dell’uomo politico G.Mandel, ebreo, che nonostante l’invasione nazista del 1940 decide di non abbandonare la Francia. Il tragico personaggio è reso ottimamente da J.Villeret, generalmente conosciuto come attore comico.
Ancora per la TV, saranno realizzati vari telefilm da "L’ombre" (1992) a "Thérèse et Léon" (2001) fino al docufiction "Sartre, l’età delle passioni" (2006).
Nel 2007, Goretta ha poi girato "Cannes, 60 anni di storia" tra cronaca e  autobiografia.
Nel corso del suo non breve lavoro, oltre alla messa in causa della borghesia, Goretta ha inteso ricordarle "i vinti" quelli che, nelle sue stesse parole, "non hanno in nessun momento  appuntamento con la storia".
Nella sua disamina del costume dei compatrioti ha però saputo evitare ogni asprezza ideologica per meglio scrutare nelle strutture profonde dei diversi personaggi, senza mai ricorrere ad alcun espediente stereotipo o spettacolare.
E controprova della sua fruttuosa attività  e del suo stile è stato “Le Quartz d’honneur” assegnatogli a Lucerne nel marzo di quest’anno.









   
 



 
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