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Eleganza, ironia e savoir faire. Difficile non considerarli un talento naturale, un’eredità inevitabile di papà Marcello e di mamma Catherine Deneuve. Chiara Mastroianni sa vivere con leggerezza la sua non facile condizione di figlia d’arte anche grazie a una bella carriera, un percorso pensato e non facile in cui mai ha cercato scorciatoie. Lo capisci dal bel viso, dal sorriso, dalla grazia con cui si porge a pubblico e addetti ai lavori. «Non mi dà fastidio che mi chiedano dei miei genitori, anzi. Certo, se poi diventa l’unico e ossessivo obiettivo di una chiacchierata, non mi fa piacere. Il punto è che spesso tutti rimangono delusi: sono stati genitori severi e regolari, altro che Dolce vita. Insomma, se pensate che bevessi champagne a sei mesi, devo disilludervi». Musa di Christophe Honoré, che stasera porterà al festival Homme au bain, con lei e il pornoattore Francois Sagat nel cast (già qui per LA. Zombie), il suo curriculum è unpiacevole album di cinema d’autore e indipendenza intellettuale che rinfranca. Da Altman ad Araki, da Lelouche a Téchiné, da Manoel De Oliveira a Marjane Satrapi. «Forse gli italiani non mi chiamano perché mi considerano francese. Ma parlo perfettamente italiano, forse ho una "r" un po’ forte, sarà per quello. Mi dispiace molto, mia madre è una cinefila accanita e mi ha cresciuto con i grandi classici italiani. Quando ho lavorato in Italia, con Francesca Comencini (Le parole di mio padre), è stato bello, mi piacerebbe tornare. Magari in un horror di Dario Argento». Rimanendo sulla madre, è stata lei la fonte d’ispirazione. «Litigò con una cassiera per farmi vedere un Polanski vietato ai bambini della mia età, ma allo stesso tempo, pur avendo coltivato questa mia grande passione per il cinema, mi mise i bastoni tra le ruote all’inizio della mia carriera. Mio padre era felicisssimo, era come un capofamiglia che vedeva la sua attività ereditata dalla figlia. Lei no, era contraria. Ma dopola prima volta sul set, credo abbia capito che per me il cinema era necessario». Una lezione d’autonomia. «Nessuno dei due mi ha detto cosa dovevo fare, i miei genitori hanno sempre voluto dei figli liberi di decidere il loro futuro da soli». Non si lascia andare a banalità né teme di sembrare fragile quando confessa che «ero molto imbarazzata al momento in cui mi dissero che avrei ricevuto questo riconoscimento (l’Excellence Award Moet e Chandon ndr) a Locarno. Non avevo vinto premi prima, e quando sono andato a vedere a chi era andato l’Excellence Award prima di me (da Susan Sarandon a John Malkovich, c’è solo l’imbarazzo della scelta ndr) non ho chiuso occhio per varie notti!». Un riconoscimento importante in un festival internazionale induce inevitabilmente a dei bilanci. E a pensare ai registi più importanti. «Tanti, ma ora mi viene in mente Manoel De Oliveira. Ho imparato a calmare la mia emotività con lui, perché molto esigente. Lui è un pittore, noi, i suoi attori, delletavolozze. Dopo di lui, confesso, credo di essere diventata un’attrice più completa, lui mi ha strutturato. Sono sempre i registi che fanno la differenza e io credo di aver avuto il pregio di saper attendere gli incontri più giusti. E la fortuna di essere sempre stata scelta. Non ho mai chiesto niente a nessuno, se si escludono due occasioni. Scrissi a Francis Ford Coppola perché desideravo ardentemente lavorare con lui. Ma poi non spedii mai la missiva. E più recentementie, invece, chiamai Marjane Satrapi dopo aver letto la bellissima sceneggiatura di Persepolis. Sapevo di potercela fare, lo sentivo». Dolce e decisa, la sua bellezza è magnetica, ha un carisma tutto suo. Non gli serve altro. E chiude con una delle più belle definizioni di cinema. «Per me il cinema è una trasgressione molto eccitante». Chiara Mastroianni? Oui, c’est moi.
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