W.ALLEN, VIS COMICA E HUMOUR AMARO.
 







di Antonio NAPOLITANO




Woody Allen

Woody Allen (Allen S. Konigsberg) è da due mesi in Francia a girare, nel suo settantacinquesimo anno di età, "Paris at midnight" (in cui si è infilata Carla Sarkozy, dalle capacità espressive che ricordano Soraya).
Il regista newyorkese ha una lunga carriera alle spalle, iniziata da gagman e da attore e poi come autore di film ricchi di un umorismo dal retrogusto amaro.
Né sono pochi i libri da lui scritti anch’essi non privi di una verve particolare, fino da "Citarsi addosso" a "Effetti collaterali" eccetera.
Anche qui viene ben dissimulata la sua cultura da high-brow del milieu metropolitano di New York ("comico e filosofo" lo qualifica lo storico francese R.Prédal, nei suoi "100 anni di cinema".).
Allen possiede quindi, ottimi strumenti per scavare nella società americana e scoprirne nevrosi e scompensi, pur senza montare in cattedra né in pulpito.
Nella prima sua commedia "Prendi i soldi e scappa" (1969) in cui appare anchecome protagonista, schizza il ritratto di un rapinatore compulsivo, insieme goffo e timido. Si susseguono, così, scene spassose quale quella in cui brandisce un pistolone (fatto col sapone) che si liquefa sotto un improvviso perfido acquazzone.
Questo Virgil è il primo dei tanti suoi personaggi che si parlano addosso, farfugliano e tentano di spiegarsi in modo maldestro o controproducente.
Su di un altro tema ancor più divertente è impostato, nel 1971, "Il dittatore dello Stato libero di Bahamas" satira globale delle rivoluzioni sudamericane. In esso il comico è lo spaesato Fielding Mellish che resta coinvolto per caso in una di esse fine a venirne proclamato leader.
Le sue buffe mosse, le sapienti smorfie mettono mille grani di sale e pepe nella vicenda senza un attimo di vuoto.
Si viene a confermare  che la vocazione alla comicità dipende in gran parte dalle fattezze un po’ speciali che la natura ha dato ad alcuni attori.
Da ciò il fallimento di quelli che,invano, in TV, si sforzano di far ridere, dato il loro aspetto di giovani aitanti e bellocci.
Nel 1972, "Provaci ancora, Sam" diretto da H.Ross, vede Woody mattatore irresistibile nei panni di un critico di cinema che idolatra e scimmiotta H.Bogart.
Tra lamenti e complessi di colpa Allan Felix, va frignando per casa e altrove, nei modi quanto più lontani da quelli del suo eroe, simbolo di forza virile e stoica.
Con queste arguzie Allen va costruendo il suo mondo di umorosa dissennatezza.
Ed è su questa linea "Il dormiglione" (1973) nel quale le notazioni parodistiche sulla fantascienza sono centrate e stimolanti.
Un pò traballante si rivela, invece, "Amore e guerra" (1975) rilettura caricaturale del capolavoro di Tolstoj. Prende qui rilievo Diana Keaton, compagna di lavoro e di vita, in quegli anni giovanili.
Con "Io e Annie" (1977) può dirsi che inizi la serie di pellicole dedicata alla vita di coppia, tra aspri litigi e riannodamenti affettuosi.
Nè il registanega di prender spunto dalla sua biografia vissuta problematicamente sotto supervisione psicoanalitica.
"Interiors" segna, invece, la prima svolta verso il filone "bergmaniano" (il genio svedese è come un tarlo che gli rode il pensiero).
In questa storia di "incomunicabilità" e conseguente disgregazione familiare, risuonano altresì echi di Ibsen e Strindberg. Forzosamente, i silenzi angoscianti dell’atmosfera nordica sono troppo diversi dal caos sonoro della insonne New York.
L’anno seguente, Allen torna a recitare in "Manhattan" (1979). Con un garbato tono grottesco vengono rappresentati i travagli di un autore TV dopo l’abbandono da parte della consorte (M.Streep).
Il magnifico bianco e nero e la musica di Gershwin arricchiscano il sornione vaudeville. Esatta, allora, appare la nota di F.Di Giammatteo che "è meglio però quando Allen riprende a folleggiare".
La "felix insania" si riconferma in "Zelig" (1983), una brillante variante di certi biopic stesi alla megliosul grande o piccolo schermo.
Il tipo di cui si tratta è un camaleonte umano che si trasforma a seconda dell’ambiente in cui è capitato. E riesce a ficcarsi a fianco di Pio XI a Roma o a trovarsi sul palco dove  conciona Hitler.
Forse la morale è che l’uomo-massa è tra gli esseri viventi il più plasmabile e pilotabile.
Certo è che l’attore è all’apice della sua inventività mimetica.
Ottimamente realizzati sono i film che seguiranno da "Broadway Danny Rose" ad "Hannah e le sue sorelle" e tanti altri.
Uno scatto ancor più in alto è "La rosa purpurea del Cairo" (1985) con risorse tecniche manovrate con estrema fantasia in funzione della storia.
E’ cinema nel cinema con attori che escono e rientrano nelle immagini proiettate. Così viene consolata dal suo eroe la maltrattata Cecilia (Mia Farrow) coinvolta nella surreale vicenda.
Seguono ancora molti titoli dato che Allen ha girato circa 40 pellicole.
Alcuni spiccano per lo stile originale: è il caso,appunto, di "Ombre e nebbie" (1991)  che è una sottilissima parodia di film espressionisti del muto e, al contempo, racchiude il serio problema dell’antisemitismo.
Domina in essa la gestualità di un Woody incredibile, infatti, nella parte del coraggioso. Come regista egli contamina in modo eccellente dramma e commedia. (E non lieve è l’ausilio del magnifico bianco e nero di C.Di Palma).
Effervescente risulta altresì "Pallottole su Broadway" (1994) col paradosso dello scrittore che utilizza i suggerimenti del serial killer Ciccio.
Nel 1995, Allen realizza "La dea dell’amore", in cui un giornalista indaga sulla madre naturale del bambino da lui adottato.
Anche i termini osceni, tipo "fellatio" sono spruzzi verbali che costellano le storie rappresentate.
Ed è significativo che il regista abbia lavorato off-Hollywood per garantirsi una piena libertà creativa.
Come attore-schlemil (l’ebreo sfortunato) egli sa usare ogni tecnica, dalla totale impossibilità del"deadpan" al "prat-fall" (caduta rovinosa) al camera-look (il commento rivolto allo spettatore).
Così ha continuato con opere riuscitissime, da "Tutti dicono I love you" a "La maledizione dello scorpione di giada (2001)", scorrendo tra i molti aspetti del comportamento tra realtà e sogno, e tra lucidità e i ipnosi.
E "Match point" (2004) e "Scoop" (2006) sono venuti a confermare la sua capacità di alleggerire anche racconti di cinismo e di malavita.
Nel 2009, in "Whatever works" si è visto un suo alter ego, Larry David, nella parte dell’ipocondriaco Boris, che, dopo un tentativo di suicidio, si dà ad un edonismo sfrenato, non meno rischioso.
Ancora una volta gag e battute acutissime formano catene a reazione di fortissimo impatto (e successo).
Insomma, pur se guardata a volo d’uccello l’opera alleniana è una lezione di stile comico e di humour con punte di persuasiva quanto amara saggezza.









   
 



 
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