SERVI
di Marco Rovelli
 


libro inchiesta









In Schindler List, la conversione del protagonista è resa con un espediente cromatico. Tra la massa anonima di ebrei, il cinico faccendiere si trasforma in filantropo notando una bimba col cappotto rosso. La pellicola è in bianco e nero, i disperati sono inquadrati da lontano, e solo quando lui individua un caso particolare, comprende che non di numeri si tratta ma di persone. Oggi la discriminante non è più la religione professata, la razza o il colore della pelle. Il mercato globalizzato sfrutta i più deboli, attraendoli con promesse fasulle per poi renderli schiavi privi dei più elementari diritti. Nella sua lucida inchiesta, Servi. Il paese sommerso dei clandestini al lavoro (Feltrinelli, pp. 219, euro 15,00), Marco Rovelli adotta lo stesso espediente. Non rifiuta le statistiche, ma anziché appoggiarvisi come fanno gli ubriachi coi lampioni, se ne serve per illuminare un ragionamento basato su casi precisi. Per farlo attraversa lo stivale, eovunque incontra individui di varie nazionalità, ciascuno con la propria storia e il desiderio di farla conoscere. E’ un lungo elenco di nomi oscuri, tutti fuggiti da condizioni di miseria, e insieme la denuncia degli effetti di una legislazione repressiva che si dimostra, nei fatti, una fabbrica di docile manodopera a costi irrisori. Dalla raccolta delle arance ai grandi cantieri edili, dalle badanti ai lavapiatti è sempre il medesimo refrain, e capiamo che è proprio la condizione di asservimento a fomentare la microcriminalità; mentre fra gli stranieri regolari i dati segnalano un minor tasso di delinquenza rispetto ai nostri connazionali. Difatti, in occasione delle sanatorie, i reati commessi subirono un netto calo. Tenerli in clandestinità significa confinarli in un ghetto da cui non si esce se non con l’espulsione o la carcerazione. A metà fra reportage e racconto autobiografico, il libro illustra le speranze di una vita normale e registra le iniziative informali: gli sportellidei migranti, i comitati di sostegno, frutto di reti di solidarietà interetnica come quello di Reggio Emilia, i cui membri supportano economicamente i nuovi venuti finché non trovano lavoro. Ma al di là delle singole appartenenze, la denuncia di Rovelli ha valore perché raccoglie le singole voci e le intreccia in un unico coro. Come per il senegalese appena giunto in Italia, che l’autore aiuta nel dialogo col controllore ferroviario stupito della sua conoscenza del francese. Dopo averlo ascoltato, Rovelli lo saluta nella sua lingua come si fa con un fratello. Sunu rew modi dunya, nostra patria è il mondo intero.









   
 



 
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