UN ANGELO SOPRA IL COLOSSEO
 







di Gianfranco Capitta




Trent'anni, in tempi mediatici, possono essere un'eternità. Oppure, nella coscienza esistenziale di ognuno, possono sembrare un soffio, in cui la morte per assassinio del poeta fa ancora male, come il pugno doloroso della notizia. Trent'anni dalla morte, hanno segnato sui giornali e sui media, se non altro, la «fine della quarantena». C'è anzi una sorta di effetto saturazione, a guardarsi intorno, per le migliaia di iniziative che l'anniversario ha fatto scattare: inserti, trasmissioni, speciali, manifestazioni e iniziative in moltissime città, opinioni a iosa. Tutti dedicati a Pasolini, alla sua morte violenta, ai misteri che ancora la circondano. Forse era il momento, forse quei trent'anni erano necessari, anche se sembra assurdo. Pasolini è stato frequentato e citato in questi anni, talvolta in maniera semplicistica, a proposito di molte cose, spesso anche a sproposito. A tratti rischiando anche la banalizzazione. Più creativamente certo da partedei giovani (studiosi come artisti) che non dalle generazioni a lui vicine, che hanno continuato a elaborargli attorno un chiacchiericcio scontato. Tutti lo hanno tirato dalla propria parte, mentre uno ad uno se ne sono andati quelli che avevano condiviso la sua furia, poetica, civile, esistenziale; pochi giorni fa Sergio Citti, l'anno scorso Laura Betti, cui bisogna continuare a riconoscere d'essere riuscita a tenere «accesa» l'esplosiva eredità culturale di lui.
Certo, a parte poche eccezioni, quasi tutti si interrogano prevalentemente solo su quella notte tragica di trent'anni fa. Sui misteri di un assassinio che è la copertina peggiore di quegli anni, momento cruciale di un decennio che altre tragedie nazionali avrebbe partorito. A rivederlo oggi, il calendario luttuoso di quei misteri fa solo paura, tanto risultano ravvicinate e martellanti le date di treni saltati, colpi di stato, eserciti paralleli, assassinii politici. E il caso,se è tale, vuole che oggi l'avvicinarsifaticoso di una qualche verità sulla notte all'Idroscalo, torni assieme a quella di altri fattacci mostruosi di quegli stessi anni, anzi di quegli stessi giorni: l'orrore del Circeo avvenne esattamente un mese prima della morte di Pasolini, che scrisse sull'argomento uno dei suoi ultimi e più inquietanti articoli, in accesa polemica con Calvino.
Ora tutti scendono in campo a ricordarla, quella notte di trent'anni fa. Ed è un bene, anche se gli schizzinosi possono continuare ad arricciare il naso. Certo è curioso come pochi in questi trent'anni si siano posti il problema vero della sua scomparsa. Ora non solo gli avvocati di sempre, da Calvi a Marazzita, ma intellettuali, programmi televisivi, istituzioni e anche giuristi insigni, come Stefano Rodotà (l'altra sera da Minoli), denunciano come sia stato permesso ed eluso lo scandalo di quelle indagini fumose e incomplete, e magari, chissà, manovrate.
Chissà se tanta lucida mobilitazione dell'opinione pubblica porterà la magistraturaromana a darsi una mossa, per fare una indagine vera sull'uccisione di Pasolini. Benché a tutti sia chiarissimo cosa sia successo quella notte, dopo la prima sentenza del giudice Alfredo Moro, il delitto è rimasto sempre incagliato, ancora oggi, in quello che si chiamava il porto delle nebbie. Altrimenti, quel mondo omologato da un ipertrofico e «moderno» martellamento televisivo (l'incubo totalitario intravisto e raccontato dal poeta crudele di Salò, tanto prima che l'Italia si scoprisse berlusconiana) dovrà continuare a contentarsi delle ipotesi e delle supposizioni delle docufiction, tanto inquietanti quanto leggere, con tutto il rispetto e l'ammirazione per Carlo Lucarelli, che pure fa un lavoro serio e meritorio.
Resta per fortuna il patrimonio vero che Pasolini ci ha lasciato: la sua scrittura, le sue immagini, la sua poesia. Patrimonio immenso e disperato, come la vitalità di un artista che prima di morire ha sfidato il fossato sempre esistente tra finzione artistica erealtà. Per questo vi offriamo qui immagini inconsuete o poco viste di un poeta al lavoro (come - qui sopra - insegnare a Silvana Mangano a «volare», vero Angelo sopra il Colosseo e sopra Totò e Ninetto), e un piccolissimo saggio dei suoi versi, e della sua furia civile. Ci sono molte emozioni e molti pensieri, ancora, da scoprire nelle sue parole e nelle sue immagini.da Il Manifesto 










   
 



 
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