«In questo momento che noi stiamo parlando, io che so di te, che so chi sei? Potresti essere un mafioso, no? E allora lo vedi che con la cultura del sospetto siamo tutti coinvolti?». La cultura del sospetto. Quante volte Stefano Maria Bianchi e Alberto Nerazzini, i due giornalisti (ex Sciuscià) autori di La mafia e bianca (dvd con libro, Bur, 19,50 euro), se la sono sentita ripetere una frase come questa. Un direttore sanitario, il fratello di Totò Cuffaro, persino un prete: in Sicilia che ne sai chi vai a salutare? Magari è un mafioso e per questo devo finire in mezzo ai guai? Totò Cuffaro, poi, che della Regione è il presidente e del film il protagonista assoluto, non si limita a salutare, ma com'è noto bacia tutti. Se ne lamenta persino Angelo Siino, l'ex ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra ora collaboratore di giustizia: «Vedo arrivare questo personaggio, ridanciano, abbracci e baci», dice in tribunale. Parla di un incontro del 1991 cheCuffaro non ha potuto negare, ma ha spiegato: «Non sapevo chi fosse». Anche se, si può dire, all'epoca quello famoso tra Siino e Cuffaro era Siino. Totò sarebbe diventato un personaggio solo qualche mese dopo, grazie a Michele Santoro. Durante la diretta da Palermo, la sera in cui Samarcanda e Maurizio Costanzo andarono avanti a staffetta in ricordo di Libero Grassi, fu Santoro a offrire il microfono a un signore che si agitava in platea. «Lei chi è?». Non lo disse. Parlò invece, anzi gridò, della cultura del sospetto: «Qui stasera è in atto una volgare aggressione alla classe dirigente migliore che ha la Dc, la dovete smettere con questo giornalismo mafioso». Era Totò Cuffaro. Collegato da Roma, il sorriso di Giovanni Falcone commentava la scena, al riparo dei baffi. Otto mesi dopo lo avrebbero spento per sempre. «La mafia non ha il colore del sangue», dice la voce narrante del film al primo minuto - è lungo due ore e ha il taglio di quel documentario tv che non è potuto essere -«ma è bianca come i camici dei medici e come i colletti». E' un medico anche Giuseppe Guttadauro, boss palermitano di Brancaccio intercettato nel 2001 mentre ricorda con emozione l'intervento di Cuffaro a Samarcanda: gli era proprio piaciuto quel «cristiano emotivo». Guttadauro, racconta la storia, muove i grandi affari della sanità Siciliana, che sono tanti perché con il sistema degli «accreditamenti» lo stato paga oltre 1.700 ospedali privati per fare quello che il pubblico non fa. Seguendo le videocamere in ambulatori che fanno schifo e cliniche che risplendono ricchezza, inseguendo il miraggio di riuscire a intervistare Cuffaro (lo stile delle Iene ha fatto scuola) scopriamo gli altri medici indagati dalla procura di Palermo: Mimmo Miceli, figlioccio politico di Cuffaro e favorito da Guttadauro, Salvatore Aragona condannato per aver falsificato la cartella clinica di Brusca. E c'è anche un'altra conoscenza di Cuffaro, Michele Aiello, sospettato di essere un prestanome diProvenzano. I magistrati speravano di riuscire a mettere le mani finalmente sul grande capo quando una soffiata ha rovinato tutto. Chi è stato? Cuffaro entra in questa storia perché è accusato di favoreggiamento aggravato, è uno dei sospetti. La mafia è bianca oltre al dvd è anche un libro che raccoglie i documenti utile a ricostruire la storia. C'è anche un errore, però, e si nota perché sta proprio nelle prime righe della presentazione, a firma Michele Santoro. «Adesso so - scrive Santoro - che la televisione può fare a meno di me e io posso fare a meno della televisione». Sbagliato. Il 14 novembre Santoro torna a disposizione della Rai «col panierino e la mela come un bambino all'asilo». Lo ha detto lui stesso, ieri, presentando a Roma La mafia è bianca. da Il Manifesto
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