E’ considerato uno degli scrittori più importanti del panorama americano, di lui Russell Banks ha parlato come di un «narratore di classe mondiale, un vero poeta», ma Chris Abani è nato nel 1966 in NIgeria ed ha scelto gli Stati Uniti come patria d’adozione dopo che è stata costretto a lasciare il suo paese dove era perseguitato come oppositore politico. Apprezzato docente di Scrittura creativa all’Università della California, Abani ha pubblicato a sedici anni il suo primo romanzo a Lagos, finendo in carcere per due volte perché le autorità nigeriane ritenevano che i suoi scritti avessere ispirato una rivolta popolare. Nel 1999 scelse così l’esilio a Londra e quindi a Los Angeles. Vincitore di importanti riconoscimenti, tra cui il Pen Award, il Freedom To Write Award e il California Book Award, nel nostro paese ha pubblicato GraceLand (Terre di Mezzo, 2006), L’ambigua follia di Mr Black, Abigail, una storia vera e, recentemente, Canzone per la notte(pp. 158, euro 16,00), tutti per l’editore romano Fanucci. E’ stato tra gli ospiti del Festivaletteratura che si è concluso domenica a Mantova. A My Luck, il bambino soldato protagonista del suo ultimo romanzo "Canzone per la notte", sono state recise le corde vocali perché non possa urlare in battaglia rivelando così la posizione ai nemici. Una metafora per descrivere un mondo apparentemente senza voce come l’Africa? Sì, si tratta di una metafora ma anche di un fatto vero, visto che molti bambini-soldato vengono mutilati in questo modo. In effetti intendevo raccontare in questi termini l’Africa e soprattutto i bambini africani che spesso non possono avere nessuna voce in capitolo quanto al loro destino. Ma non si tratta solo di questo. Ci sono traumi per cui il linguaggio non è sufficiente, orrori talmente grandi che non esistono parole per descriverli. Pensate a quanto è accaduto in Europa dopo la Seconda guerra mondiale: scrittori e poeti non riuscivano a raccontare quantoera successo nei Campi attraverso le matafore e così, pian piano, sono tornati al linguaggio più semplice, più realistico, ma c’è voluto del tempo. La storia di My Luck esprime proprio questa progressiva presa di coscienza, per uscire dall’orrore della propria condizione e della guerra. In "Canzone per la notte" i bambini-soldato, nel precedente romanzo, "Abigail, una storia vera", le bambine nigeriane portate in Europa per diventare prostitute. Cosa rappresenta per lei quest’infanzia rubata? In realtà anche il tema di fondo di Graceland ha a che fare con la condizione dei bambini e degli adolescenti. Diciamo che mi interessa capire come si possa vivere, o non vivere, la propria infanzia in una condizione post-coloniale o all’indomani di una guerra: una condizione comune a molte realtà africane, ma non solo ad esse. Quando ero adoloscente e ho cominciato a partecipare alle manifestazioni dell’opposizione contro la giunta militare che governava con pugno di ferro la Nigeria, lamia coscienza di inviduo ha iniziato a formarsi. E’ tra l’infanzia e l’adolescenza che iniziamo a plasmarci come persone, che, per molti aspetti, gettiamo le basi per ciò che saremo poi da adulti. Ciò che mi interessa capire risiede proprio in questa fase della vita delle persone: che cosa accade se qualcuno non può vivere fino in fondo quel periodo della propria esistenza? Quando hai un’infanzia normale le cose vanno più o meno bene, ma quando non ce la puoi avere che cosa ti succede? Anche perché i giovani rappresentano il futuro e la possibilità di cambiamento, se gli viene impedito di crescere serenamente, quale futuro possiamo aspettarci? Lei è finito in galera a diciott’anni perché il governo nigeriano riteneva che un suo romanzo avesse ispirato un tentativo di rivolta nella popolazione. Un’esperienza che non l’ha però fatta desistere dalla volontà di diventare scrittore? Sono cresciuto in una famiglia della borghesia nigeriana e fino a quando sono stato arrestato nonavevo avuto alcun contatto con la realtà sociale più dura del mio paese. Mi sono così reso conto che c’erano persone che erano finite in carcere solo perché erano povere, il governo voleva soltanto toglierli dalle strade, perché nessuno li vedesse. In quel momento ho capito che il privilegio che avevo, quello di poter scrivere e farmi sentire anche fuori del paese era qualcosa di enorme: io possedevo una voce, loro no. E credo che questa cosapevolezza mi abbia aiutato a continuare a scrivere, a diventare davvero uno scrittore. Prima di entrare in carcere, non avevo vent’anni, pensavo che la cosa mi avrebbe reso celebre, che sarei diventato famoso grazie a quella condanna. Solo dopo qualche giorno che ero in cella mi sono reso conto di come stavano le cose e ho cominciato sia a provare paura che a sentirmi sempre più vicino alle persone di cui stavo, anche se solo per un momento, condividendo il destino. Cosa significa per uno scrittore che ha raccontanto di un Elvis cresciuto neglislum di Lagos, ma pur sempre innamorato della cultura americana e del rock’n’roll, vivere a Los Angeles? Quanto sono diverse le due realtà? Paradossalmente la Nigeria e la California sono quasi uguali. (Ride) No, no, dico sul serio. Il clima è simile, la natura e i colori sono simili, le piante sono le stesse, alberi di palma e bouganville. Perciò si potrebbe anche immaginare di essere a Lagos. Del resto, la Nigeria è un’ex colonia britannica ma i principi che, almeno sulla carta, ne ispirano la vita politica sono più o meno ripresi dalla democrazia americana. E anche la nostra cultura popolare si nutre dei miti e dell’immaginario americano. Certo, è chiaro che in Nigeria ci sono molte più cose che non funzionano, però certe volte immagino di trovarmi ancora laggiù ma con persone che abbiano improvvisamente cambiato colore della pelle... Come valuta l’operato del primo presidente afroamericano un intellettuale africano che ha scelto gli Stati Uniti come terra d’esilio? Quantopesano realmente nella società le minacce della destra e il razzismo verso gli immigrati che riempiono le prime pagine dei giornali? L’America è un paese che sta attraversando una fase di grande e profondo cambiamento a partire dalla cosapevolezza che è definitivamente tramontata l’epoca degli imperi e che oggi nessun paese, non importa quanto sia grande e potente, può più decidere da solo. Gli Stati Uniti hanno capito che devono discutere con il resto del mondo, negoziare e venire a patti anche con i loro rivali. E questa modifica nella percezione del ruolo che il paese può giocare sul piano internazionale ha prodotto una trasformazione anche all’interno della società americana. Ciò che sta cercando di fare Obama ha meno a che fare con il colore della pelle delle persone che con la loro voglia di cambiare le cose, costruire un diverso modo di vivere "con" e "in mezzo" agli altri. Perciò è vero che da quando Obama è stato eletto c’è stata una recrudescenza del razzismo edell’estrema destra, che alla vigilia dell’11 settembre c’era chi voleva bruciare il Corano, ma a contare in prospettiva non sono questi fatti, quanto piuttosto che la maggioranza dei giovani americani condivide le idee e il cammino intrapreso dal presidente: fateci caso, alle manifestazioni della destra che si vedono in tv partecipano solo persone sopra i quarant’anni. Perciò credo proprio che si possa dire che la rivoluzione di Obama è destinata ad anadre avanti.
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