Strade visioni scompigli. Soprattutto scompigli. La storia di una strada come metafora di distruzione e abbrutimento, di scempio perpetrato ferocemente e pervicacemente; e per di più alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti e addirittura consentito, promosso e incentivato da chi ha le leve del potere in mano. Un comportamento pauroso e idiota, molto simile a un delitto. Non a caso Mauro Francesco Minervino, che è professore di antropologia culturale, ha intitolato un capitolo di questo suo libro - "Statale 18" (Fandango, pag. 235, euro 15) - «Statale 18, a sud di Gomorra»: assolutamente appropriato. Quella che lui racconta è infatti la storia della SS18, «una delle più importanti ed estese del sud d’Italia, dato che percorre per più di 600 km la costa tirrenica da Napoli a Reggio Calabria, collegando i due centri urbani più estesi e rappresentativi di due regioni problematiche come la Calabria e la Campania». Non una strada qualsiasi.Minervino la percorre tutta più e più volte, con la lucidità del ricercatore colto e il cuore pieno d’angoscia per tutto quello strazio che gli scorre davanti. Lo strazio di quella terra che ama. La "sua" terra. Più che una denuncia, il suo è un grido. Vede tutto, non può non vederlo. «Su questa strada è cresciuto un altro sud e un altro paesaggio: foruncoloso, aggressivo, invadente». Più che una strada - quella che fu la Strada per le Calabrie, dai Borboni al Risorgimento - ora è «uno spiedo appuntito che trapassa e infilza» tutto ciò che trova sul suo passaggio, uomini, case, paesaggio, territorio, persino il mare; travolgendo e soprattutto stravolgendo «i centri principali che uno dopo l’altro si affacciano sulla costa tirrenica». Uno sfacelo lungo 600 km. Bisogna vederlo. E Minervino lo vede, con sguardo poetico e scientifico insieme; questo sud che «è terra di paradossi e sangue pazzo». La strada e la sua storia. Dalla ricostruzione del dopoguerra in poi si è «aggiuntocemento a cemento e sulla via del mattone con i cantieri e le ruspe non ci si è più fermati, fino all’espansione incontrollata. Fino a questo: «L’apoteosi del brutto che coincide con la più recente e mostruosa saturazione urbanistica della storia» (percorrete in macchina la SS18 da cima a fondo e lo vedrete voi stessi). Con data d’inizio negli anni Cinquanta-Sessanta, la deriva è diventata inarrestabile. Non solo immane saccheggio del territorio perpetrato lungo mezzo secolo. Si legge a pag.16 del libro: «C’è un’altra contabilità che di questo olocausto è ingrato fare, ma che va fatta. Il consumo del territorio e l’invadenza delle costruzioni oggi non grava più solo sull’ambiente». Già, non si tratta solo più di terreno sottratto all’agricoltura e alla natura - e perciò meno bellezza, meno cielo, meno aria pulita, meno spazi per tutti -; qui si tratta «di una cocente disfatta culturale, di un mutamento di costume e di abitudini umane e sociali, le cui conseguenze non sono in minorgrado gravi e disperate: la mostrificazione antropologica della vita dei paesi e degli abitanti raccolti sulla strada». Malefica strada, che «rappresenta l’affermarsi di quell’ideologia per la quale il privato vale più del pubblico, il mercato più dello stato, il cliente più del cittadino»; e che ha come risultato il crescente disordine sociale, «il consumo, l’eccesso, l’anomia, la noia». Lungo la direttrice "evasione-eversione", in mezzo alla statale 18, «corre un mondo e una vita che fermenta come il mosto di una cattiva vendemmia. Qui c’è tutto quello che sta a sud di Gomorra». La "sua" Calabria perduta. Per esempio Paola, un paese di mare «che è stato antico e forse nobile, e che oggi è sbiadito, agonizzante». Simile a un gradino rotto, «oggi Paola è un luogo incongruo e asfittico, alla fine di un intrico infinito di casermoni e strade smemorate che si allungano caoticamente sulla statale e verso il mare». Il centro storico che sopravvive a stento, in degrado; «quello cheavanza è né più paese e nemmeno città. Solo una colata di cemento che si allarga e viene giù a cascata fino alla marina, una strisciolina di terra dall’aspetto bombardato, simile a certi scorci di Gaza e Beirut». Paola oggi? «Una impostura di luogo». Cemento iradiddio. Spalmato su tutto il Belpaese a livelli più che doppi rispetto all’Europa; ma che in Calabria tocca percentuali semplicemente folli, 14 volte più della media nazionale. Secondo dati Istat, in soli 15 anni (1990-2005) sono stati edificati 259.560 ettari, pari al 26,13% dell’intero territorio regionale: un mostruoso record nazionale. «Una conurbazione lineare costellata di orridi urbanistici, che coincidono non a caso con la geografia dei distretti a più alta densità mafiosa». Olocausto Calabria, realtà di un sud-submoderno, dentro il quale «permangono e crescono i grandi problemi sociali di sempre», disoccupazione e mafia, abusi ambientali, un tessuto civile lacerato e caotico. E’ forse un caso, si domandal’autore, se il 2010 si è aperto in Calabria sulla strada, con la "battaglia di Rosarno"? «I migranti ribelli languivano in condizioni da aparthaid sudafricano, in vecchi capannoni fatiscenti, a pochi chilometri delle migliaia di seconde e terze case lasciate vuote sulla costa, a fianco della statale 18, in attesa della toccata e fuga dei turisti agostani». Il guasto è vastissimo e penetrato in profondità, difficile anche solo pensare a soluzioni possibili. Troppo tardi? Un argine potrebbe essere la riemersione «dalla "società fluida" di nuove, seppur modeste intese di tipo comunitario. Basterebbe in fondo amare i luoghi, voler bene davvero alla terra, la propria». Maria R. Calderoni
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