Che i confini tra la letteratura per l'infanzia e quella per adulti siano labili e incerti non è un mistero per nessuno. Nonostante i libri per bambini siano nati all'insegna dell'«apposta per...», e nonostante una rete di stereotipi e pregiudizi ne abbia condizionato l'esistenza, la loro indubbia specificità ha sempre incluso - accanto a mucchi di amabile e amata spazzatura e di funzionali oggetti di passaggio - una quantità di opere indiscutibilmente pregevoli, che meriterebbero un posto nelle storie letterarie. E di queste opere, a volte, gli adulti si impadroniscono «a posteriori», così come i ragazzi fanno propri libri in origine non destinati a loro. L'esistenza di questa zona di scambio, all'interno della quale si collocano, per esempio, le splendide storie per bambini di autori come Ted Hughes, Randall Jarrell e Dino Buzzati o classici come Alice, è oggi confermata dal notevole numero di nomi famosi che si leggono sulle copertine dei libriper i più piccoli. E bisogna dire che non se ne sono visti mai tanti come quest'anno, pubblicati a volte in collane dichiaratamente per adulti: una collocazione dietro la quale può esserci l'idea (del tutto condivisibile) che si tratti libri per tutti e non solo per bambini, ma che più spesso è dettata da ragioni (del tutto legittime ma meno condivisibili) di puro e semplice marketing. Al genitore che vada a caccia di un libro da regalare al suo bambino per questo Natale, capiterà quindi di imbattersi in Un cagnolino per Efrat (pp. 86, euro 12,80, illustrazioni di Altan), inserito nei Coralli einaudiani per dare il giusto risalto, si presume, alla prima opera per l'infanzia di Abraham Yehoshua. Peccato che le due storielline contenute nel volume - adatte a bambini di cinque sei-anni, parlano rispettivamente del desiderio di possedere un animaletto e dell'adozione di un topolino da parte di due bimbette - siano irrilevanti, specie se confrontate con le indimenticabili incursioninella letteratura infantile di altri importanti autori israeliani, come David Grossman e Yoram Kaniuk. Insomma, se un famoso nonno scrittore ha voglia di inventare qualcosa per divertire i suoi nipoti, benissimo, ma non si vede perché due favolette da niente, così banali che un bravo autore per ragazzi non si sognerebbe mai di proporle al proprio editore, debbano finire nei Coralli al prezzo di un libro vero. Anche Il fiore più grande del mondo di José Saramago, pubblicato da Fanucci in una bella edizione illustrata da Joao Caetano (pp. 28, euro 12.50), non è un granché: il brevissimo racconto, imperniato su un bambino che esplora in solitudine la campagna e con un gesto gentile provoca la crescita spropositata di un fiore magico, è davvero fragile e inconsistente. Tuttavia, a differenza del libro di Yehoshua, quello di Saramago è almeno una piacevole curiosità in cui ritroviamo la scrittura immaginosa del premio Nobel portoghese, e, soprattutto, alcune considerazioni sul modo diraccontare storie per bambini che la trasformano in una sorta di «buon consiglio» per i genitori (e per gli scrittori). La fabbrica delle farfalle (e/o, pp. 46, euro 12,50) di Gioconda Belli, autrice nicaraguense nota in Italia soprattutto per La donna abitata (e/o 1999), è invece una fiaba graziosa, scritta con eleganza, piacevole per grandi e piccoli anche se il testo gronda «poesia» da tutti i pori (verrebbe voglia di grattarne via un po' per lasciare spazio a un briciolo di ironia), in cui si narra di un Disegnatore di Tutte le Cose che vuole creare soltanto farfalle. Il libro non è una novità, visto che la e/o lo ha proposto in passato in formati differenti, ma vale la pena di dargli un'occhiata, se non altro per le magnifiche illustrazioni di Wolf Erlbruch. Clarice Lispector, grande scrittrice brasiliana molto tradotta in italiano e molto amata da un numero di lettori ristretto ma entusiasta, è l'autrice di Come sono nate le stelle (Donzelli, pp. 141, euro 20), un libroincantevole: veste grafica raffinata, ottima traduzione di Maria Baiocchi, belle illustrazioni di Chiara Carrer che, come il testo, piaceranno a grandi e piccoli. E poi le storie, dodici leggende degli indios brasiliani raccontate nel modo giusto, con una lingua semplice, familiare ma preziosa, che cerca di restituire il tono e il senso del racconto orale, con sprazzi ironici e immagini luminose e nitide. Insomma, un bellissimo viaggio nella giungla amazzonica corredato di due deliziosi raccontini finali, La vita intima di Laura e Una storia quasi vera (già apparse in passato nelle collane Mondadori per i ragazzi), inventati dall'autrice per i suoi bambini e che hanno per protagonisti una gallina, un cane e una nuvola-strega, impegnati in piccole vicende in cui magia e quotidianità si fondono. Di animali parla anche D'un tratto nel folto del bosco di Amos Oz (Feltrinelli, pp. 114, euro 10, traduzione di Elena Loewenthal) che, pubblicato nella collana I Narratori , è tuttavia natoper lettori giovanissimi, ai quali va caldamente raccomandato. A fare da sfondo, un villaggio senza tempo e soprattutto il bosco, luogo di tutti gli incantesimi e di ogni possibile viaggio iniziatico, dove si scorgono luci lontane lontane e si fanno incontri altrimenti impossibili. Basta questo a far capire che ci troviamo di fronte a una vera e propria fiaba, raccontata però con la consapevolezza e l'abilità di un grande narratore contemporaneo. D'un tratto nel folto del bosco, infatti, è un breve romanzo felicemente ambiguo e pone domande più che dare risposte (la qualità ideale in un libro per ragazzi), nel suo disegnare il mondo chiuso di una valle dove tutti gli animali sono spariti in una sola notte per colpa di un «pifferaio magico» chiamato Nehi, un demone che ha portato via perfino i più piccoli insetti, i pesci del fiume, i cani e i gatti più amati. Ai bambini che chiedono, gli adulti dicono che si tratta di una leggenda, perché gli animali in realtà non sono mai esistiti. Eguai ad andare nel bosco, dove ci si può ammalare di nitrillo, la malattia che toglie la parola e la sostituisce con versi simili a quelli delle bestie scomparse. Solo Mati e Maya, un bambino e una bambina coraggiosi e curiosi come tutti quelli che usano inoltrarsi nei boschi stregati, riusciranno a scoprire la verità sul «demone» e sulle creature che ha rapito (o forse no?), e da quella verità ripartiranno per cambiare con pazienza il mondo. Storia suggestiva e lievemente inquietante sulla differenza, sulla paura, sul pregiudizio e sul rapporto che ci lega alle altre creature viventi, questa di Oz potrebbe quasi rappresentare un modello di testo davvero «per tutti», adulti e ragazzi. Soprattutto per bambini - anche se i molti «richleriani» saranno forse curiosi di leggerlo - è invece Jacob Due-Due agente segreto di Mordecai Richler (Adelphi, pp. 148, euro 10.40), che completa la trilogia dedicata dall'autore canadese al personaggio di Jacob Two-Two, un bambino costretto a diresempre le cose due volte perché, essendo il più piccolo di casa, nessuno gli dà retta. Buffo, avventuroso, pieno di sorprese e di humor intelligente, è da regalare a lettori sugli otto-nove anni, magari insieme ai due volumi che l'hanno preceduto, ossia Jacob Due-Due e Zanna Incappucciata e Jacob Due-Due e il dinosauro, usciti nel 2004 (dalla trilogia, tra l'altro, è stata tratta anche una serie a cartoni animati veramente carina visibile su Jetix, un sito dedicato ai cartoons). Un bel romanzo per adolescenti è Occhi di tempesta (Mondadori, pp. 340, euro 13) di Joyce Carol Oates, che ha scritto molto per i cosiddetti young adults, un pubblico sfuggente e in perpetua oscillazione tra la non-lettura integrale, i più disparati assaggi di letteratura adulta e i best-seller tipo Melissa P. e Tre metri sopra il cielo, autentica e divoratissima Nutella per teen-ager. Questo thriller ben costruito, appena più semplice e diretto dei romanzi per adulti che la Oates produce instancabilmente,dovrebbe senz'altro tentare i ragazzi dai quattordici in su con la sua scrittura asciutta ed essenziale e la storia dura e appassionante della protagonista Franky, che idolatra il padre, celebre reporter sportivo, e considera con aperta ostilità la madre e i suoi modesti tentativi di vivere la propria vita. Quando la donna scompare, Franky e i suoi fratelli sono spinti dal padre a credere in un abbandono improvviso, ma poi la ragazza trova il diario della madre e attraverso di esso scopre il terrore in cui è vissuta e le costanti minacce di morte del marito. Alcuni dei temi più cari alla Oates, come la violenza contro le donne e il ritratto di una società ipocrita e brutale, affiorano senza censure né incertezze, con la stessa incisività che caratterizza i suoi romanzi per adulti: un segno di rispetto nei confronti dei lettori giovani, e una garanzia del fatto che quello che si ritroveranno tra le mani è un romanzo autentico e non un astuto «prodotto» ad hoc da sgranocchiare amerenda.da Il Manifesto
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