Anni 70 I peggiori anni della nostra vita Copertina rossa e sfondo nero: titolo sparato Anni 70. I peggiori anni della nostra vita, ci si è messo un pool di esperti per celebrare un processo - ovviamente breve - e, previa una inchiesta svolta da personale investigativo"certamente neutrale", per individuare i colpevoli dell’arretratezza del sistema italiano. Scarsa redistribuzione delle risorse? Diseguaglianza sociale e scarsa mobilità? Assenza di una politica economica ed industriale degna di questo nome? Una classe dirigente inadeguata impregnata di borghesia eversiva? No! Secondo i redattori del volume, tutto ha origine in quel decennio infausto che ha contaminato le menti, la cultura, i gangli vitali del sistema. Egualitarismo, ideologia "falsamente progressista", strapotere dei sindacati, feticismo costituzionale, bisogno di moralità della vita pubblica sono gli elementi che hanno impedito a lavoratori e imprenditori di vedere il sol dell’avvenire e traghettare nel ventunesimo secolo. In quegli anni torbidi sono usciti magistrati, intellettuali, si è costruita una presenza sociale che ha avuto la presunzione di voler fare politica e questo per gli autori ha costituito un danno micidiale. Esempi nobili, sempre secondo gli autori, come la Costituzione e lo Statuto dei lavoratori sono stati agitati come totem per impedire che la modernizzazione avanzasse. Sì, siamo inchiodati a quel maledetto decennio, è lì che si annida la causa del più alto debito pubblico d’Europa, non certo nel 38% di evasione fiscale e neanche in quel fenomeno marginale e "fisiologico" chiamato corruzione. La squadra che ha condotto l’inchiesta pubblicata per Marsilio, 15 euro, è composta da Giuliano Cazzola (deputato PdL), Simonetta Matone (magistrato), Filippo Mazzotti (vice capo di gabinetto del ministero del welfare). Ma tutti sanno che il nume tutelare, ovviamente super partes, è colui che del volume ha curato l’introduzione: il ministro Maurizio Sacconi. Per stroncarlo bene e sconsigliarne la lettura si racconta la fine, l’astio che gli autori provano nel vedere tanti giovani, Costituzione alla mano, manifestare per gli stessi ideali.Stefano Galieni "L’Italia s’è mesta" "L’Italia s’è mesta" (Giulio Perrone editore, pp. 172, euro 11,00) non si dà intenti saggistici, spiega l’autore Mariano Sabatini. L’autore ha scelto di far conoscere ai suoi lettori la "nostra" Italia vista dai colleghi inglesi, francesi, spagnoli, cinesi, tedeschi, americani, russi, africani che vivono raccontando «splendori, miserie, insensatezze, rivoluzioni, arretratezze del Belpaese». «È il mio quinto libro - afferma l’autore - sulla deriva che fronteggia la nostra Italia, unita da soli 150 anni - aggiunge Sabatini - mi è sembrato un libro dovuto, in primis a me stesso e poi agli italiani che si oppongono al berlusconismo tentacolare, che abbraccia il parlamento, le istituzioni, la Rai, l’editoria e tutti i settori strategici di questo Paese. Vedere la nazione perdere inesorabilmente brandelli di democrazia è davvero un brutto modo di festeggiare l’anniversario dell’unità nazionale». L’Italia s’è mesta è allora un valore aggiunto e la necessità di uno sguardo altro per la confusione e la delusione che oggi si respira in Italia. «Ascoltare, trascrivere e offrire ai lettori le opinioni di corrispondenti che ci osservano e raccontano per conto delle loro autorevoli testate - spiega l’autore - mi è sembrato un utile esercizio di umiltà, in anni di superomismo e leader carismatici che coltivano l’ottimismo cieco, immotivato e tendono a galvanizzare le masse. Credo che gli italiani abbiano una grande necessità di guardarsi con gli occhi degli altri - afferma ancora Sabatini - per rendersi conto della assoluta anomalìa politica che attraversano. Leggere la realtà attraverso i racconti, le esperienze e le impressioni dei colleghi serve per avere una migliore visione d’insieme non solo sul tunnel del berlusconismo che non lascia intravedere l’uscita verso la luce - precisa Sabatini - ma sull’invadenza insostenibile della Chiesa cattolica, sulla condizione delle donne, degli omosessuali, sull’assenza di dibattito serio sul fine vita, sul mancato riconoscimento delle coppie di fatto, sulle condizioni in cui versano il patrimonio artistico e il mondo della cultura». Ma Mariano Sabatini non si arrende e per questo continua a vivere in Italia e "a sperarci su".Isabella Borghese Storie romane ricordando Asmara Selezionata dalla RCS Libri come migliore scrittrice esordiente, poetessa, collaboratrice di testate specialistiche come Philosophema, bimestrale di filosofia, BTA (Bollettino Telematico dell’arte) e Reti di Dedalus (Rivista Letteraria del Sindacato Nazionale Scrittori), regista e autrice teatrale oltre che di corti, Rossella Pompeo malgrado sia considerata appunto una esordiente è in realtà già una protagonista del panorama culturale italiano. A lei piace raccontare, e in Roma è come Asmara (Editrice Zona, pp. 164, euro 16,00), narra i suoi incontri nella Capitale con ventidue donne, con le quali del tutto casualmente intreccia delle conversazioni sugli autobus, per strada, insomma girovagando proprio come una turista. Alcune delle protagoniste delle sue storie sono inventate, ma altre invece sono reali, come quella che poi dà il titolo al libro, un’anziana eritrea che vive a Roma da immigrata da molti anni, tormentata dalla nostalgia del suo Paese e tuttavia orgogliosa di essere riuscita a diventare una cittadina italiana. Così parla del libro il poeta e critico letterario Plinio Perilli: «Rossella Pompeo ci parla da e di una Roma, un’Europa, un intero globo ingarbugliato e contaminato di presenze, di spostamenti, di dubbi così come di progetti. E dove l’unica vera soluzione è sempre quella di abituarsi, esercitarsi al problema, partorire, distillare, inoculare un perfetto malessere quale miglior antidoto e controprova benefica di un altroterapeutico malessere. Quello che la Pompeo ci regala è un condominio di racconti, ognuno di loro è come una stanza che ti accoglie».V.B. I sei sospetti Vikas Swarup Chi ha ucciso Vicky Rai, potente e impunito figlio del ministro dell’interno dell’Uttar Pradesh? Muore per un colpo d’arma da fuoco mentre festeggiava l’assoluzione per l’ennesimo delitto compiuto. I partecipanti alla festa sono tanti ma in 6 hanno con se una pistola, tutti e 6 hanno un buon motivo per volerlo morto. Con una struttura narrativa perfetta, quasi didascalica, si ricostruiscono, in un lungo flashback le vicende dei sospettati. Percorsi tortuosi portano un burocrate in pensione, una star di Bollywood, un aborigeno delle Andamane, un giovane ladro, un importante uomo politico e uno stordito statunitense, verso l’appuntamento fatale. Un viaggio improbabile e a tratti esilarante, spesso inevitabilmente profondo e surreale, nella pluralità della società indiana, nel connubio di presente e passato, tradizione e voglia di futuro, vizio e generosità. Una trama che si dipana per l’intero sub continente, fra città e paesaggi, lingue e culture, sapori e volti in cui la pluralità è il carattere dominante. Non è né la classica India del dolore e dei buoni sentimenti né quella esotica e favolistica. Anche la scelta di assegnare ad ognuno dei 6 protagonisti una modalità comunicativa diversa corrisponde al bisogno di creare uno stacco quasi teatrale fra le singole vicende per poi riuscire a farle convergere in un’unica inaspettata, soluzione. A leggere I sei sospetti di Vikas Swarup (Guanda, pp. 542, euro 13,50) sembra di guardare dall’alto un umanità in fermento, un mondo vitale e cosmopolita in cui felicità e dolore, sogno e realtà convivono senza stridere. La struttura da giallo classico è uno splendido pretesto per irridere in maniera corrosiva tanto la goffaggine occidentale quanto il fondamentalismo qaedista, la corruzione del sistema e la criminalità organizzata, la società dello spettacolo e gli slanci religiosi. L’autore, già noto per il romanzo Le 12 domande da cui è stato tratto il film The millionaire (8 premi oscar) non risparmia neanche lo sberleffo verso il Mahatma Ghandi, simbolo fondante dell’India moderna. Un romanzo che cattura e lascia addosso una vitalità enorme, quella forse di un Paese che continua a guardare avanti.S.G. La parentesi antifascista Giornali e giornalisti a Torino (1945-1948) Torino può essere considerata senza tema di smentita la capitale dell’antifascismo italiano. Nel 1943 fu dalla Fiat che partirono i primi scioperi contro il regime fascista. E negli anni immediatamente successivi la Resistenza conobbe alcuni tra i suoi momenti più alti proprio in Piemonte. Torino divenne dunque un punto di riferimento per gli intellettuali antifascisti di provenienza comunista, socialista od azionista, come testimonia tanta saggistica e narrativa. Tra gli esempi che si possono fare e che vogliamo ricordare c’èLessico famigliare di Natalia Ginzburg, un vero classico della nostra letteratura impegnata del secolo scorso. La parentesi antifascista. Giornali e giornalisti a Torino (1945-1948) (Edizioni Seb 27, pp. 206, euro 15,00) di Marco Albeltaro, ricercatore in Storia delle Società Contemporanee presso l’Università di Torino e già autore del volume L’assalto al cielo. Le ragioni del comunismo oggi (La Città del Sole, Napoli 2010), ha il merito di fare il punto della situazione italiana subito dopo l’uscita dal fascismo e la fine della guerra attraverso la lettura dei giornali piemontesi. «Uno spaccato del lungo dopoguerra torinese - scrive Aldo Agosti, autore della prefazione, - e, come suggerisce il suo autore, "una pagina locale ma non secondaria della autobiografia della repubblica"». L’idea che sta dietro una ricerca del genere risale al 2006, quando, grazie alla Fondazione Istituto Gramsci piemontese, venne realizzato uno studio dell’edizione locale de l’Unità tra il 1945 e il 1957. A quel punto Laurana Lajolo, animatrice dell’associazione intitolata a suo padre Davide, che de l’Unità era stato un grande sostenitore, decise di estendere l’indagine ad altre voci del giornalismo regionale come la Gazzetta d’Italia o La Stampa. Così il libro, che si avvale anche di un cd che permette di leggere un’antologia degli articoli di allora, consente, dice Agosti, «attraverso una rilettura intelligente dei quotidiani del capoluogo subalpino (per un sia pur breve periodo ben sette, almeno quattro dei quali "storicamente" di respiro nazionale), ricostruisce una stagione irripetibile, caratterizzata da un clima fervido e insieme teso». Il saggio storico non ha la pretesa né di essere la storia di Torino, né la storia dei principali quotidiani piemontesi e tanto meno la storia della politica di quella regione, precisa Albeltaro nell’introduzione, e tuttavia contiene tutti e tre questi elementi. Va ricordato che il Paese nel 1945 era appena uscito da anni di dittatura e da una guerra feroce che per la prima volta aveva conosciuto vittime civili dei bombardamenti alleati e delle rappresaglie nazi-fasciste. La stampa democratica dal canto suo usciva invece da un lungo periodo di clandestinità. «Le tensioni e gli slanci della Resistenza - scrive il giovane studioso - che animano quotidianamente le pagine de l’Unità, de l’Avanti e di GL in particolare, devono infatti ben presto fare i conti non solo con i mutamenti dello scenario politico nazionale, ma anche, sul terreno del giornalismo, col risorgere di quei quotidiani che avevano avuto una forte compromissione con il fascismo e che approderanno presto a posizioni conservatrici». Nei confronti dei giornali di sinistra scattava subito un’aspettativa molto elevata da un lato, mentre dall’altro con la stessa intensità nasceva una competizione con testate come La Stampa e la Gazzetta del Popolo, ingaggiata soprattutto con l’Unità. I primi due giornali citati auspicavano un rapido ritorno alla normalità mentre ilquotidiano del Pci e le altre testate progressiste speravano che il vento del rinnovamento continuasse a spirare, cosa che invece non accadde, come tutti sappiamo. Nel 1947 le sinistre vennero allontanate dal governo e un anno dopo la Dc stravinse le elezioni contro il Fronte popolare, una coalizione formata appunto da comunisti e socialisti. Proprio "Quarantotto" è l’ultimo capitolo del lavoro di Albeltaro che descrive bene, sempre attraverso gli articoli usciti nei principali giornali piemontesi, come si visse quel cruciale appuntamento elettorale. E’ Ottavio Pastore, direttore della pagina torinese, ad aprire un fuoco di sbarramento contro il governo proprio il 1° gennaio dell’edizione piemontose de l’Unità. Obiettivo dell’esecutivo, attacca l’esponente comunista facendo riferimento alla Costituzione, è «impedire che dai principi proclamati si passasse ai fatti». Questa è stata secondo lui «la preoccupazione principale dei dirigenti democristiani». L’edizione piemontese dell’organo del Pci ha dunque la piena consapevolezza della posta in gioco e dei tentativi «del blocco conservatore di riportare la barra della politica nazionale sulla rotta di una normalizzazione che affonda le radici nello stato prefascista». Il Sempre Avanti!, testata torinese di area socialista diretta allora da Alberto Jacometti, apre sempre il 1948 con un editoriale del direttore dove sottolinea la consapevolezza che nel 1945, «anno della grande illusione», si è persa un’occasione, «forse fummo pavidi - scriveva - certo fummo eccessivamente prudenti». Jacometti auspica così una riscossa in occasione delle elezioni, riscossa che invece non ci fu e che i giornali borghesi certo osteggiarono in tutti i modi. La Nuova Stampa, (titolo con il quale la Stampa uscì in quella fase storica), utilizzò per esempio la vittoria di Klement Gottwald in Cecoslovacchia per mettere in guardia dai rischi di un’avanzata comunista verso Occidente. Non fu da meno la Gazzetta del Popolo, la quale a firma di Massimo Caputo sottolineò come «La lezione di Praga dovrebbe essere salutare e ammonitrice per noi italiani, tanto più che abbiamo purtroppo i nostri Gottwald e una profusione di loro servi sciocchi». Uno scontro durissimo dunque senza esclusione di colpi che solo per poco non gettò il Paese in una rinnovata guerra civile. Resta il fatto che la normalizzazione ebbe la meglio. E l’originalità del lavoro di Marco Albeltaro sta proprio nell’affermare, come recita il titolo, che quella fu una "parentesi antifascista", rovesciando così i parametri usati con frequenza anche ipocrita per definire il fascismo: «Si è parlato nel passato di "parentesi" per definire il ventennio fascista. In realtà sembrerebbe il caso di rovesciare la categoria interpretativa crociana e di leggere come una parentesi il periodo di egemonia antifascista. Nella vicenda del giornalismo torinese - ma non solo in esso - ciò appare in modo evidente». Una conclusione amara rafforzata dalla convinzione che nel DNA italico siapiù estraneo l’antifascismo che il fascismo. Una considerazione difficile da smentire e ulteriormente rafforzata dopo questi ultimi venti anni di storia repubblicana.Vittorio Bonanni La felicità di Emma Il suo nome probabilmente non era conosciuto ai più prima dello scorso febbraio, quando Claudia Schreiber ha presentato per la prima volta in Italia il suo romanzo La felicità di Emma (Keller editore, pp. 208, euro 14,50). Il tour ha toccato diverse città del nord Italia conquistando nuovi ed appassionati lettori. Ho avuto la fortuna di scovare questo breve romanzo alla fiera della piccola e media editoria che, come ogni anno, si è tenuta a Roma i primi di dicembre. L’originalità della storia, l’ironia e la delicatezza di questa tragicomica storia d’amore mi hanno fatto sperare di trovarmi di fronte una "nuova" e meritevole scrittrice. Così è stato. Nuova per noi, perchè in Germania, suo paese natale, la Schreiber ha ottenuto un successo straordinario, sia di critica che di pubblico, già nel 2003, vendendo più di 250.000 copie. In seguito è stato tradotto in numerose lingue, tra cui fortunatamente l’italiano. Il merito dell’intuizione va riconosciuto alla Keller editore, casa editrice indipendente con sede nei pressi di Rovereto, che già aveva fatto centro, dimostrando il suo valore, con la pubblicazione dell’opera Il paese delle prugne verdi di Herta Muller, premio Nobel per la letteratura nel 2009. Nel 2006 in Germania esce anche un film tratto dal romanzo della Schreiber, Emmas Gluck, di Sven Taddicken, distribuito in moltissimi Paesi e vincitore di premi importanti nel panorama del cinema "d’autore" come il "Munich Film Festival", l’austriaco "Undine Awards", il "Valencienness International festival of action and adventure Films" ed il nostrano "Schermi d’amore Film Festival" di Verona. La storia raccontata è però tutt’altro che di "nicchia" e fortunatamente non relegata esclusivamente ad un panorama culturale di pochi, lontana da intellettualismi sterili la sua forza sta proprio nel linguaggio semplice, diretto ed evocativo allo stesso tempo. Il mix riuscitissimo di tenerezza, intelligenza ed ironia ne fa un romanzo divertente, anche se i temi sono quelli dell’amore, della morte, di traumi antichi e presenti da esorcizzare e superare. Max, il protagonista maschile, è un contabile metodico, vive in una quotidianeità asciutta, regolata e scopre improvvisamente di avere pochi mesi di vita. Emma, la protagonista femminile, vive nella campagna tedesca allevando con amore e soddisfazione maiali, chiusa in una vita lontana dalla città, una quotidianeità la sua fatta di gesti e pensieri semplici, anche nei confronti degli uomini che continua a non preferire ai suoi maiali. Un furto, una fuga in Messico e i debiti per salvare la fattoria di Emma sono gli ingrendienti attorno ai quali è costruito il loro inaspettato e definitivo incontro. Il desiderio, la novità di una vicinanza insperata ed il riscatto, per lui del presente eper Emma del passato, riusciranno a salvare i percorsi di vita di entrambi, permettendo a tutti e due di reinventarsi, superando i propri ostacoli esistenziali e le relative solitudini che, ognuno a modo suo, si erano costruiti intorno. L’amore ed il rapporto umano ancora una volta sono la linfa vitale capace di riscattare le persone dalla crudeltà del mondo e la vita di campagna, incarnata nelle scelte di Emma, racchiude un’idea di esistenza essenziale e veriteria dalla quale spesso veniamo tutti troppo allontanati. La forza e la leggerezza al tempo stesso della scrittura della Schreiber riescono a creare immagini e soluzioni affatto banali, motivo per cui si ha la sensazione di leggere un romanzo sul rapporto uomo- donna spiato da un’ angolazione completamente nuova. Abbiamo avuto la fortuna di intervistare la scrittrice tedesca in occasione del suo tour, che oltre a toglierci alcune curiosità ci ha lasciato intuire che questo si spera possa essere solo l’inizio di un rapporto con i suoi lettori italiani... Innanzi tutto congratulazioni per aver raccontato una storia d’amore davvero originale. Prima curiosità: chi le ha ispirato il personaggio di Emma? Come le è venuta l’idea di farle allevare dei maiali? Grazie mille per i complimenti. Sono veramente felice di vedere che il mio romanzo piace alla gente. Per quanto riguarda i maiali: quando ero una bambina aiutavo a macellarli, ero una vera ragazza di campagna. L’amore per gli animali e la morte sono entrambi temi quotidiani per bambini che crescono in un ambiente rurale. Ma in realtà sono argomenti davvero inusuali per una storia d’amore, che è esattamente il motivo per il quale ho deciso di utilizzarli. Emma è presa esattamente da questo tipo di vita: potente, puro ed appassionato. Emma e Max sono entrambi incompleti, ognuno di loro con i propri problemi irrisolti, passati per Emma, presenti per Max. In che modo il loro incontro cambia le rispettive esistenze? Entrambi ispirano l’altro a trovare la propria completezza da soli, per ricevere un pò di salvezza. Questo è il risultato di tutto l’amore anche se di breve durata. La loro relazione non è basata sull’identificazione, ma sull’aiuto reciproco a trovare la propria strada. Questi due personaggi che ho creato semplicemente funzionano l’uno per l’altro, si divertono insieme, ridono, parlano l’uno con l’altro e si aiutano l’uno con l’altro. Eppure ognuno di loro deve trovare la propria strada. Questo credo. Il film di Sven Taddicken è basato sul suo romanzo: pensa che abbia catturato lo spirito della storia attraverso le immagini? Mi ritengo fortunata ad aver partecipato al lavoro di sviluppo della sceneggiatura come co-autrice e penso che il regista ne abbia fatto un meraviglioso film. Il personaggio femminile, interpretato da Jordis Triebel, ho trovato che fosse particolarmente ben fatto, lei è fantastica nel ruolo. Quali sono gli scrittori che ama maggiormente e dai quali è stata particolarmente ispirata? Mi èpiaciuto leggere Micheal Bulgakov, Margaret Atwood o anche John Irving, per nominarne solo alcuni di tutti gli eccezionali scrittori che ho amato. Progetti futuri? Il mio nuovo romanzo è uscito in Germania proprio in questi giorni. In La felicità di Emma la fine della vita è stato l’argomento principale. Nel nuovo libro, intitolato Sweet as Morello Cherries, torno invece all’inizio della vita. Sarei più che felice se questo libro fosse tradotto anche in italiano! Mi è così piaciuto incontrare i miei lettori italiani! Quando sono tornata a casa dal mio viaggio in Italia, il mio compagno ha immediatamente prenotato un nuovo corso di lingua: italiano per principianti.Egle Mugno
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