Da qualche giorno è in libreria il volume di Roland Barthes Il senso della moda. Forme e significati dell'abbigliamento, a cura di Gianfranco Marrone (Einaudi, pp. XXVIII + 147, euro 15,50). Si tratta di una raccolta dei testi nei quali il semiologo francese si è occupato di abito, di costume, di moda, al di fuori o «intorno» al suo più celebre trattato, il Sistema della Moda, del 1967. Marrone, che ormai da molti anni dedica all'opera di Barthes una attenzione speciale, compie in questo libro una scelta sapiente degli articoli, saggi, interviste barthesiani dedicati - potremmo dire forzando un po' le parole stesse di Barthes - alla moda «reale» piuttosto che alla moda «scritta». Sono saggi che si occupano del vestire come pratica sociale, come forma di vita, laddove invece il Sistema della Moda prende come sua materia e suo oggetto la moda in quanto descrizione e sistema semiotico «secondo», nel quale le unità analizzate non sono gli abiti o isoggetti sociali che quegli abiti indossano, ma i titoli, le didascalie, il «teatro del mondo» che la moda inaugura attraverso quelle che negli anni in cui Barthes ne scriveva erano il suo medium principale: le riviste di moda. Del Sistema della Moda Marrone sceglie di includere in questa raccolta due sole tracce: una, il capitolo «Storia e diacronia di Moda» nel quale Barthes stabilisce la sostanziale differenza tra moda reale e moda descritta («nella Moda scritta la lunghezza delle gonne, per esempio, è incessantemente oscurata dalla fraseologia»); e un'altra dedicata invece alla fotografia di moda, pratica di scrittura dell'indumento in quanto significante, pratica al cui limite Barthes ritrovava il territorio dello «strambo». Marrone motiva la sua scelta di lettura con la volontà di reperire lungo due decenni circa di ricerca barthesiana, la moda quale oggetto teorico di complessa definizione, analizzabile con le metodiche di quella disciplina che oggi viene definita«sociosemiotica». La moda assume dunque l'iniziale minuscola, che ne segnala il ruolo nella vita quotidiana, negli stili condivisi, nelle piccole estetiche da bricoleur, mentre la maiuscola del Sistema rivelava quasi una specie di traccia della differenza, uno scarto, che quel «poema scientifico» celebrava, della Moda scritta rispetto alla moda come istituzione sociale. I lettori italiani restano comunque in fiduciosa - benché finora delusa - attesa di vedere ripubblicato in Italia dopo trentasei anni il molto citato ma poco letto testo del 1967. Dai Miti d'oggi a Sade, Fourier, Loyola, ai Frammenti di un discorso amoroso, il vestire entra costitutivamente nell'opera barthesiana, sia quando protagonisti sono il gilet turchino e la sottoveste gialla di Werther, sia quando è il corpo a venire interrogato. Alcuni di questi saggi erano stati già selezionati da Marrone per Einaudi già nel 1998, nella raccolta dal titolo Scritti. Società, testo, comunicazione. Attraverso di essi illettore italiano era potuto entrare in contatto con la piega sociosemiotica della ricerca barthesiana e con la sua nozione di «linguaggio del vestire» strettamente connesso con i fondamenti strutturalisti saussuriani, con la fonologia praghese degli anni Trenta e con la sociologia e la psicologia europea del primo Novecento. Ma a contribuire alla complessa e suggestiva impalcatura della «scienza di tutti gli universi immaginati», la semiotica vestimentaria di Barthes, partecipano anche soggetti eccentrici come gli hippies; motivi agonistici, come il «duello Chanel-Courrèges» degli anni Sessanta; trasformazioni quasi alchemiche di un oggetto «infernale» come il gioiello in un oggetto d'uso comune come il bijou. «Quello che ci interessa del vestito è proprio il fatto che esso sembra partecipare alla più grande profondità e alla più grande socialità», scrive Barthes. Una delle suggestive immagini di questa profondità si conserva però in superficie, sulla pelle: è una calza dadonna, per descrivere la quale Barthes attinge all'Encyclopedie, e di cui aggiorna la fenomenologia con queste parole: «una calza femminile - la cosa più fine, più leggera che esista, liscia come la pelle che protegge ed esalta, simbolo stesso della creazione sovrannaturale perché non ha in sé, come la tunica dei santi, nessuna cucitura - può essere la conclusione (è il termine di Diderot) di un ragionamento la cui complessità, simile alla sorpresa derivante da un'idea intelligente, si inscrive nel lampo di quei pochi secondi necessari a produrla».da Il Manifesto
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