Thatcher revival? No, grazie
 











"Questo è un periodo – scrive su la Repubblica dell’8 febbraio l’ineffabile Alessandro De Nicola – in cui si riparla di Margaret Thatcher. Il motivo principale è l’uscita nelle sale cinematografiche italiane di The Iron Lady. Film interpretato da una bravissima Meryl Streep». Che il mio critico cinematografico di fiducia – Federico Pontiggia – ha liquidato sul proprio blog con il sarcastico «più di una signora di ferro, un ferro da stiro".
Sono reduce anch’io dalla visione dell’operina, in cui l’annunciato premio Oscar femminile ripropone, in ambito celebrativo della controversa premier inglese, tutta la gamma di espressioni – dal protervo al mellifluo – che aveva già sciorinato nei panni della guru del look Miranda Priesty, in Il diavolo veste Prada. Non trascurando il lato demenziale del personaggio. E non solo senile. Tanto che l’alzheimer precoce risulta l’effettivo protagonista della ricostruzione di intrattenimento.
A chi piace,piace.
Ma non di questo vale la pena di parlare. Piuttosto merita esplorazione il significato del revival; sapendo che gli sceneggiatori di Hollywood sono le più formidabili antenne a nostra disposizione per captare le variazioni nello spirito del tempo.
Difatti, sempre il De Nicola ci informa che «per noi italiani interrogarsi sulla rivoluzione thatcheriana non è un lezioso esercizio intellettuale». Poi precisa: «siamo in una fase di passaggio… L’Italia è una grande malata almeno quanto lo era – per motivi diversi – la Gran Bretagna di fine Anni 70 e si dibatte su quali siano i rimedi per fare uscire il nostro paese da un declino che appare inarrestabile».
Dato che di “passaggio” si parla, il vero mutamento epocale è la presa di coscienza dei guai procurati alle nostre società dal thatcherismo; in sintonia (o meglio, combutta) con il reaganismo: la devastante ondata di fanatismo prodotta dalla presa del potere da parte di mezze calzette politiche con le loro ideologie daquattro soldi. Rese – però – irresistibili dalla formidabile cassa di risonanza dei canali mediatici utilizzati dai loro spregiudicati spin-doctors e da una barbarica strategia di conquista di ogni centrale delegata alla produzione dei modelli di rappresentazione, facendo leva su notevoli disponibilità di quattrini e sul carrierismo degli adepti.
Quattrini e potere, messi a disposizione da confraternite di plutocrati che nel lungo regno del NeoLib si sono arricchiti in maniera impensabile, a spese di masse umane relegate in una crescente condizione di miseria. Tanto che ormai siamo giunti ai limiti di sostenibilità civile e materiale del modello impostoci. Di cui i politici convertiti al thatcher-reaganismo sono stati gli ausiliari, visto che per il loro individualismo possessivo di stampo piccolo borghese (e relative rivalse sociali) il binomio denaro&potere risulta(va) irresistibile. Sarebbe interessante approfondire le ragioni del mancato contrasto di tale “resistibileascesa”. Di questo si parlerà un’altra volta.
Resta il fatto che dalla dittatura per conto terzi dei borghesucci arrampicatori sociali si sta – fortunatamente – svoltando. Tornando alla Thatcher-pensiero, vale quanto ne disse Eric Hobsbawm: «anarchismo della piccola borghesia». Ma i suoi spiriti animali restano ancora fortissimi. E i colpi di coda inevitabili. Particolarmente pericolosi se lanciati dalle pagine de la Repubblica.Pierfranco Pellizzetti









   
 



 
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