Antonio Napolitano presenta il suo libro “Cinema d’autore off Hollywood” (ed. Ist. Culturale del Mezzogiorno pp. 176, euro 20,00) Nella premessa, l’autore spiega che si tratta di una raccolta di profili di alcuni registi, ancora operanti, già stilati per “ Zappingrivista” diretta da Antonio Filippetti. Il volume si conclude con gli interventi e noterelle polemiche. Ma già nella prima pagina appare chiara l’aspra critica contro l’ industria culturale d’oltre Atlantico capace di dar lustro e importanza a film banali ed insulsi. Ritiene che l’incasso al botteghino è considerato unico criterio primario di valutazione delle opere che circolano sugli schermi. E per non lasciaredubbi, l’autore subito dichiara: “E’ stato questo il motivo per ricordare non pochi nomi di realizzatori russi o cechi o polacchi o spagnoli eccetera, sempre più trascurati dai nostri “addetti ai lavori”(alle prese con star e starlets in andirivieni sui tappeti rossi dei cento e cento superflui festival)”. Citando i tanti lavori in bianco e nero, spera che le TV possano sostituirli a insipide storie a colori. Non può tacere sul corrente equivoco estetico della tecnica confusa con l’arte (3D, effetti speciali, trucchi eccetera). Certamente non trascura valide critiche alla novità del cinema a teatro che con tutta evidenza nasce dal non tener conto della strutturale diversità dei due linguaggi dello spettacolo. Il film è fatto di immagini che scorrono veloci e di primi piani mentre a teatro è l’attore che domina con la sua fisicità e le tonalità della voce. Il traslare dallo schermo al palcoscenico è sforzo teso a galvanizzare un pubblico stanco dei troppi (estrambi) rimaneggiamenti di un Moliére, di uno Shakespeare e di un Pirandello. Sul rapporto tra cinema e filosofia, dà un sguardo retrospettivo su non pochi grandi registi, da C.T.Dreyer a R.Bresson, e da F.Lang a L.Bunuel e a I. Bergman che hanno creato opere pervase di genuina filosofia. Anche Hitchcock e Truffaut, in opere non soporifere, fanno luce su quegli anfratti bui della mente e della coscienza dei personaggi nelle suddette storie gialle. Rende omaggio a Dostoievskij dotato di quella drammatica saggezza divenuta da tempo patrimonio non di un solo popolo ma di tutta l’umanità. Commenta “L’idiota” di Vladimir Bortko le cui riprese, a Pietroburgo, rafforzano, ad ogni momento, il senso di autenticità della vicenda. Il film rispecchia un impegno artistico con attori che vivono le passioni dei personaggi. A.Mironov rivive Myskin con la sua utopica fiducia mistica nella bontà altrui. A. Kurosawa, conoscitore appassionato dei capolavori della letteraturaeuropea, lo interpreta in un Giappone moderno sublimando la profondità del romanzo tanto da penetrare e contagiare le altrui coscienze. Visconti in “Le notti bianche” dà un’impronta di onirica estasi ad ogni svolta della breve vicenda dal finale travolgente. Da “Sosia” va considerato “Partner”(1968) dell’esordiente Bertolucci. “Così bella, così dolce” di R.Bresson, tratto da “La Mite”, presenta un uomo che va in cerca, preso coscienza, della purificazione vivendo una dolorosa espiazione dopo il suicidio della mite moglie. Nel 1911, il cinema con poemi e romanzi dava storie ed emozioni evolvendo la cultura dei nostri nonni. A Napoli 70 ampie sale. Molti film erano italiani. R. Viviani, sullo schermo non a teatro con “Testa per testa”. Ed ecco i “Remake”, sottoprodotti dell’industria culturale, segni dell’attuale degrado culturale della creatività artistica. Sono falsi rifacimenti (spesso risibili) di opere di Fellini, Kurosawa, Truffaut. Privi di talento fanno credere ai giovani, ignaridella storia del Cinema che sono “innovazioni tecnologiche.” Alcuni o tanti critici ritengono ottime cose fasulle. Esiste nel Cinema l’estetica del Brutto? SI! In molti film apocalittici, ridicoli e puerili, appaiono brontosauri, volatili assetati di sangue, tarantole ciclopiche, cadaveri, teschi, corpi lacerati, bubboni,trappole letali, sangue e pupille dilatate, catastrofi su tutto il telo. Tutti negativi espedienti spettacolari che sfruttano la zona più buia dell’inconscio collettivo. Essi possono infatti, costituire - come ha notato un illustre psichiatra- “un rischio di linee di frattura nella compagine della normalità” (L.Tanzi). Effetti speciali, elaborazioni da computer, il Dolby, che amplifica gemiti, rantoli, urla, boati, dialoghi rozzi, ritmi ossessivi, intrecci assurdi, aboliscono ogni riflessione. E’ pur vero che viviamo in un periodo di crisi dei valori e di relativismo etico, che tipizzano la nostra “società liquida”, civiltà degli eccessi edegli “scarti”. Diseducando si tende ad incrementare la subcultura tra tutti. Flaiano lo definisce “cinema imbizzarrito” e G. Grazzini (‘74) considera questi registi “I terroristi del cinema”. Cinema e Futurismo nascono a pochi anni di distanza. Marinetti pubblica il primo Manifesto il 20.2.’09 sul “Figarò” dopo averlo diffuso sulle colonne del periodico napoletano “La Tavola rotonda” il 14.2.1909 . Entrambi rivoluzionano la cultura. Usano un linguaggio dinamico ed esplorano la bellezza della velocità nel comunicare. Il Futurismo sollecita sperimentazioni e ricerche nell’Arte, nell’Architettura, nel Teatro, nella Scrittura, nella Poesia, nella Moda, nella grafica pubblicitaria. Nella Politica e nel Sociale imprime idee nuove proponendo l’aborto legalizzato, il divorzio, la parità tra i due sessi, il voto alle donne. Il primo film è “Vita futurista”, 1915, sceneggiato da Marinetti, A.Ginna, Corra, Balla, breve pellicola con sequenze virate o colorate a mano, cheverrà sottotitolata “Sinfonia poliespressiva”. Ginna e Corra (i fratelli Corradini) in “L’Arte dell’avvenire” scrivono dell’idea di una “Musica cromatica per mezzo della fotografia in movimento”. A.G.Bragaglia nel suo primo film “Perfido incanto” con scene di E.Prampolini, effettua riprese con obiettivi forniti di specchi e di prismi mentre danzano due ballerine russe. In “Thais”, prova qualche prima “zoomata” col carrello spinto a mano. Nel ‘17 in Russia, Vladimir Kasjanov, ispirato dalle idee di Marinetti realizza “Dramma nel cabaret futurista” con stacchi, primi piani e dissolvenze. W.Ruttmann, nel ’27 in Germania, attua “Sinfonia d’una grande città” rifacendosi, forse, alle opere di Boccioni e di Carrà e alle architetture avveniristiche disegnate da A. Sant’Elia. I Dadaisti in Francia sviluppano i dettami del Movimento Futurista nel Cinema: “Le retour à la raison” di Man Ray nel ’23, “Anemic Cinéma” di Duchamp nel’25, “Le ballet mècanique” (‘24) di F.Léger, “Entr’acte” nel’24 di R.Clair, divertente con il funerale tutto di corsa. In Italia nel ’30, “Vitesse” (Velocità) di P.Oriani, G. Martina e da Tina Cordero, girato a Torino ma presentato a Parigi, riceve elogi da R.Clair per le riprese aeree ritenute “brillanti soluzioni tecniche”. W.Benjamin (’37) scrive: il cinema “dilata lo spazio, e col “ralenti” dilata il movimento con la cinepresa che sale, scende, isola, ingrandisce, riduce”.Per A.Hauser, l’arte contemporanea è figlia del Cinema. Si passa a snocciolare un Requiem per il cineromanzo popolare, surrogato del romanzo d’appendice e del melodramma, scomparso da decenni che, dopo il ‘45, era presente col neorealismo socialmente impegnato. Il primo contrasta i mutamenti socio-culturali ponendosi come “falsa ottica della realtà umana…che spesso suggestiona l’uomo del popolo e lo induce a lunghe fantasticherie sull’idea di vendetta” (A. Gramsci). E’ zeppo di amori travolgenti e strazianti, di donne fedifraghe, diamanti, di mariti gelosi e traditi, di suicidi e omicidi. Un’altro tema è “riviste di Cinema:un patrimonio da non perdere” che, selezionate e raccolte, possono essere di sussidio nelle Facoltà di Cinema. Nel n.5 ‘50 di “Sequenze”, dedicato a “Il film comico”, si legge di Totò apprezzato da critici, storici e, nel 2001, lo stesso Napolitano gli dedica un colto studio “Totò uno e centomila.” E’ recente la crisi di Cinecittà, Hollywood sul Tevere, fucina del Cinema italiano, sorta nel ’37 dieci Km. da Roma. Benigni “ma lì sono i sogni che abbiamo fabbricato per uomini svegli!”Fellini disse“ Io non ci abito ma ci vivo…”. Sconcerta lo studio su film candidati all’Oscar(’27-’03) che, fissa tra l’altro, la conduzione solo di registi anziani. Il culto del divismo è causato in tanti da un “ritardato sviluppo della personalità”. Imitano i loro “modelli” nella pettinatura, nell’abbigliamento, nei gesti. G.B.Shaw afferma “che se il selvaggio adora idoli di legnoo di pietra, l’uomo-massa di oggi venera quelli di celluloide” o cantanti, divi ed esordienti presenti nei reality-show in Tv. Il Cinema a cinema è leggere un libro in biblioteca senza telefonino, interruzioni, odori di oli fritti, discorsi vacui. Le immagini e le storie ti inducono a sognare: una crociera con Ulisse, un bicchiere di rhum con il Corsaro Nero, sul cavallo bianco a Waterloo come inviato, un week-end con Cleopatra, nella fontana di Trevi con Anita Ekberg. Oppure Shakespeare a chi avrebbe dato il ruolo di Amleto, la donzelletta di Leopardi “reca in mano un biglietto del cinema” e il “legnaiolo s’affretta, e s’adopra per andar all’ultimo spettacolo”, Napoleone in Russia non con l’esercito ma col frac, Cesare scrive Veni vidi film vici, forse Nerone avrebbe incendiato Roma con Cinecittà? All’ultima si risponde No ma per i nostri politici è SI. Essi ignorano che la Cultura italiana è la più grande nostra industria. E’ consuetudine commentare lostile narrativo dell’Autore. Stento a trovare parole elogiative valide. Antonio Napolitano, docente di Storia del Cinema in seminari universitari, scrittore di monografie su Leopardi Seneca, Shakespeare, di libri e saggi sul Cinema, inviato ai Festival di Venezia, di Locarno e di Karlovy Vary, già nel’60 scrive su “Cinema Sud”, vincitore del “Premio Pasinetti-Cinema Nuovo” e membro del direttivo “Circolo Napoletano del Cinema” presieduto da Renato Caccioppoli. Alcuni suoi libri si trovano tradotti in altre lingue. Speriamo che il Cinema d’Autore possa isolare coloro che deteriorano sensibilità e cultura di intere collettività. Italo Pignatelli
|