Teatro dell’Opera: ”Il Naso”
 











A contribuire alla magia e al successo de Il Naso, prima opera di Dimitri Shostakovic, di scena al Teatro lirico di Roma, certamente in larga misura è stata la regia straordinaria di Peter Stein che ha saputo dar conto di ciò di cui si nutre questo lavoro, nato appena a ridosso di un’epoca piena di triboli e di fantasia, di avanguardie un po’ in tutti i campi in cui si sapeva esprimere lo spirito artistico che vagava liberamente per l’Europa creando una Koiné comune all’insegna del modernismo, della sperimentazione, del gioco, del grottesco trasferito alla musica ( il grottesco era un’antica tecnica pittorica esaltata dai romani nella quale i disegni svolgendosi lungo spire di serpenti o di un bestiario fantastico e paramitologico e tralci d’alberi, giocava a spezzare i regni della Natura, cosicché un animale si evolveva in forme vegetali di nuova creazione, o anche il contrario, in una continua ricerca dell’inedito ).
In Shostakovich trionfa ilgusto della deformazione che sbeffeggia qualsivoglia autorità, esaltandone il profilo comico e ridicolo. Quando compose Il Naso, Dimitri Shostakovic aveva da poco superato il periodo di educazione musicale, avvenuta a Pietroburgo nel solco tracciato della tradizione accademica ottocentesca, ora poteva scrollarsi di dosso le parrucche che lo avevano costretto ad indossare e lanciarsi a capofitto nella musica scherzosa e disimpegnata. Anche se lui non era di certo un artista futurista, non voleva imprimere al mondo una ideologia, voleva giocare e divertirsi e divertire.
Lo allettavano le tecniche musicali d’avanguardia, il teatro di Majakovskij, ma anche il cubismo, il surrealismo, l’espressionismo, le forme architettoniche funzionaliste. E lo facevano impazzire le pièce antiborghesi, tutte fischi, parolacce e scurrilità. Quando prese in mano il libretto, alla cui scrittura aveva contribuito lui stesso in larga misura, aveva appena superato i venti anni, era il 1927. La cordata deilibrettisti comprendeva oltre al poeta già noto Evgenij Zamjatin, che aveva dato vita al gruppo “I fratelli di Serapione”, che si muoveva all’insegna dell’anticonformismo, anche Aleksandr Preis, un guardiano notturno di una fabbrica di dolci e Grigorij Ionin, che aveva come curriculum una lunga permanenza al riformatorio. Quando l’opera fu completata, il clima generale della Russia era cambiato, stava per imporsi l’Unione Sovietica, stava per essere strumentalizzata ogni forma artistica, per essere annientata qualunque voce fuori campo, qualsivoglia avanguardia.
La prima teatrale de Il Naso avvenne il 18 gennaio 1930 e non ebbe successo. Risultava incomprensibile il suo spirito tragi-comico, il gioco, la satira, il grottesco, sebbene in quel periodo si inneggiasse a Gogol, padre letterario dell’opera, pubblicata ne “I Racconti di Pietroburgo”. Scandalizzava quella musica che rompeva gli argini, che faceva l’occhiolino a Prokofiev, a Berg e che illustrava fin troppo i personaggi earrivava a prendere in giro persino un Consigliere di Stato. Il Naso infatti narra le surreali peripezie di un piccolo burocrate vanitoso, borioso e tronfio, una di quelle nullità che passano il tempo a controllare in uno specchio se tutto è a posto, che dopo aver fatto una visitina al barbiere si risveglia senza naso. ( Sembra che Gogol, quando la tecnica della rinoplastica era appena agli albori, fosse stato impressionato da un fatto di cronaca nera, un naso amputato che era stato conservato dentro un pane appena sfornato e reimpiantato con successo). Ora Kovalëv, il proprietario del naso, in una crisi parossistica e buffonesca, in un clima farsesco accentuato dalla musica caotica e grottesca, un gioco sapientissimo di contrappunti, si da’ a rincorrere la propria appendice per tutta la comunità. Il naso, si sa , è simbolo sessuale per eccellenza, cosa potranno pensare di lui le persone che contano come la signora Pelageya Podtocina e la figlia? Ed inoltre, senza naso, anche la voceesce deforme e stridula, e mentre il Naso è diventato con una carriera rapidissima Consigliere di Stato, irrorando intorno il suo canto stridulo di tenorino nasalizzato, al pover’uomo non resta che cantare con il bel timbro baritonale come soffocato dal fazzoletto che gli copre la vergognosa mancanza, e fare regolare denunzia, visto che quel suo membro faticosamente ritrovato non accetta di tornare pacificamente al suo posto. La straordinaria iridescenza della partitura, la sua anticonvenzionalità, la parodia e le deformazioni dei canoni del passato, le canzonette riprese fanno il paio con le citazioni bulimiche a livello letterario. Nel libretto si trovano imprestiti da altre opere di Gogol come La Fiera di Sorochinec, Taras Bulba, Una Notte di Maggio, Racconto di come Ivan Ivanovch litigò con Ivan Nikiforovich, Il matrimonio, Le memorie di un pazzo, Le anime morte ed altre ancora.
La bella edizione ammirata al Teatro dell’Opera, proveniente da Zurigo, si è valsa, come anticipato,dell’allestimento di Peter Stein che ha fatto muovere i cantanti/attori, ai quali spesso è chiesto di recitare oltre che di cantare. Fra essi si distingue il protagonista, Platon Kovalëv, assessore di collegio, interpretato con molto dinamismo e senso del ritmo da Paulo Szot. Il Naso diventa personaggio con la voce di Leonid Bornstein, tenore leggero con il compito ingrato di una continua nasalizzazione delle vocale. Interessante il resto del cast, di pari alto livello. Tutti sono coordinati dal giovane e brillante direttore argentino Alejo Pérez. Le scene di Ferdinand Wögerbauer raccontano le avanguardie russe con i colori accesi, le forme che si richiamano agli esperimenti pittorici cubisti, con le caselle che si aprono a differente altezza e mostrano il salone di barbiere, la cucina dove va a litigare con la moglie intenta a sfornare pane, l’appartamento di Kovalëv e più in alto, rispettando la scala sociale quello della vedova Podtocina, o la sede della Gazetta, dove saràpubblicato l’annuncio della sparizione, o ancora il sole radiante che invade il fondale mentre giganteschi poliziotti controllano severi la gente che passa e la silhouette di Pietroburgo piccolissima sullo sfondo, un tocco che è di Stein, quasi una sua firma. O quell’uomo che combatte una battaglia persa in partenza con un ingranaggio di ruote dentate, correndo dentro una ruota come un porcellino d’India, e poi la carrozza con postiglione tirata da un cavallo recalcitrante. E c’è tutta quella sfilza di nasi che si sono affrancati dalla schiavitù delle rispettive facce e se ne vanno per la città liberamente, frequentano le chiese, si nascondono. I costumi pieni di colore e davvero fantasiosi sono stati creati da Anna Maria Heinreich, autrice anche delle protesi a forma di naso che se ne vanno in giro per il palcoscenico con un copricapo e una sorta di frac. Le coreografie sono stare curate da Lia Tsolaki, le luci di Joachim Bart. Maestro dell’ottimo coro Roberto Gabbiani. FranzinaAncona









   
 



 
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