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Sono state settimane incredibili, in tour con ’Girlfriend in a Coma’ e la regista Annalisa Piras, parlando del suo film e dell’Italia (che è sì la mia "fidanzata" ma è anche la "mamma" di Annalisa), con il pubblico a Londra, Parigi, Roma, L’Aquila, Pisa, Torino, Milano, Firenze, Venezia, Taranto, Napoli e poi di nuovo l’altro giorno a Londra. E anche nuotando nelle acque tempestose del periodo elettorale più interessante (ma anche inquietante) capitato in Italia da decenni a questa parte e forse in assoluto. Infine, il tour è culminato con il passaggio in chiaro del film visto da oltre 700 mila persone su La7. E’ difficile, circondato da una tale tempesta (o era Sturm und Drang, tempesta e impeto, come dicevano i romantici tedeschi?), pensare con chiarezza al significato e al corso delle cose. Eppure, ecco qui alcuni appunti, alcune impressioni, alcune domande. Una domanda che ci veniva posta continuamente era se ’Girlfriend in a Coma’contenesse un messaggio politico. Il nostro pubblico, in giro per l’talia, è stato incredibilmente vario. Dai 400 uomini d’affari milanesi al Teatro Parenti alla folla, decisamente più orientata a sinistra, presente alla libreria Rinascita a Roma; erano per lo più studenti al cinema Arsenale di Pisa e un gruppo più formale alla Fondazione Sandretto Rebaudengo di Torino dove mi sono sentito in fallo perché non portavo la cravatta. E tuttavia, quale che fosse la loro formazione, la gran parte dei nostri spettatori voleva esplorare le implicazioni politiche del film. Eravamo sotto elezioni, alla fine. E’ stata quell’idea a spingere (o a giustificare) Giovanna Melandri, presidente del MAXXI, a revocare la nostra prenotazione della sala cinematografica da 200 posti del museo per l’anteprima italiana del 13 febbraio, dandoci la possibilità, concessaci da ’l’Espresso’ all’ultimo minuto, di passare una splendida serata nella sala da mille posti del Teatro Eliseo. Tuttavia, le discussioni intutto il paese hanno mostrato quanto la Melandri si sbagliasse. Alcune persone tra il nostro pubblico in Italia, e tra gli italiani all’estero, hanno sostenuto che il nostro è un film "montiano". Altri che è grillino. A Pisa una candidata del Pd ha accusato il film d’ingenuità, dicendo che descriveva un’Italia vista con gli occhi di un bambino. E’ rimasta un po’ scioccata quando le abbiamo replicato che per noi quello era un complimento, dato che l’essenza del giornalismo e in ogni caso del film, è far spalancare gli occhi e invitare a chiedere "Perché?". Forse, se il Pd si fosse posto più spesso questa domanda avrebbe fatto meglio alle elezioni. La verità, davvero, è che il nostro film è un po’ come un test di Rorschach, il test psicologico in cui tutti vedono nelle macchie d’inchiostro quello che vogliono vedere. Ma comunque non è un film per una persona o per un partito. E’ un film che descrive un momento storico particolare, tra la fine del 2011 e la prima metà del 2012,della transizione da Berlusconi a Monti. Soprattutto, è un film che invoca il cambiamento, che suona la sveglia agli italiani. In questo senso la risposta alla domanda "Per Monti o per Grillo?" è "Per entrambi", o meglio per chiunque voglia scuotere l’Italia dal suo lungo sonno, in modo democratico e progressista naturalmente. Le reazioni più emotive da parte del pubblico, o almeno così ci è sembrato, ci sono state in città in difficoltà dove la gente ha chiesto un cambiamento e sente di non essere stata ascoltata. A L’Aquila, dove di nuovo ’l’Espresso’ ha ospitato la nostra proiezione il giorno successivo a quella all’Eliseo, quelli che hanno visto il film sono stati comprensibilmente delusi dal fatto che la storia della non-ricostruzione della loro città dopo il terremoto non figurasse nel nostro documentario. Molti hanno tuttavia riconosciuto che le sindromi, i problemi politici, che si celano dietro il fallimento sono stati trattati. Avendo visitato anche le zone devastatedel Nordest del Giappone dopo il maremoto del 2011, so che gli Aquilani non sono i soli a sentirsi depressi e arrabbiati per i tempi lunghi della ricostruzione, perché questo accade anche in Giappone. Tuttavia, sono anche dolorosamente certo che le città e i villaggi giapponesi distrutti verranno ricostruiti e restaurati prima del centro storico de L’Aquila. L’altra città che si è sentita ignorata o inascoltata e in cui il pubblico ha espresso un forte desiderio di farci portavoce dei loro messaggi per farsi ascoltare dal resto dell’Italia, è naturalmente Taranto, che gioca un ruolo importante ma ignobile nel nostro film. Ripensando al febbraio dello scorso anno, quando abbiamo girato in quella città potenzialmente bella ma inquinata, maltrattata, e trascurata, è stato scioccante vedere quanto poco interesse mostrassero i media nazionali, almeno fino a quando il giudice Patrizia Todisco non ha aperto il caso contro l’Ilva. Ma ancor più scioccante era il disinteresse dei politicilocali, tra cui un certo Nichi Vendola, Presidente della Regione Puglia e fondatore di un partito che si chiama, non a caso, "Sinistra Ecologia Libertà". Come può guardarsi allo specchio ogni mattina facendosi la barba, mi chiedevo, seduto nel cinema di Taranto, dopo aver amministrato il peggior caso d’inquinamento ambientale in Italia e avendo ancora la pretesa di essere un paladino dell’ecologia? I politici, e la loro mancanza di vergogna, non cessano di stupirmi. A questo proposito un’esperienza surreale accadutaci mentre eravamo a Taranto è stata una mia apparizione, via satellite, su Sky TG24 a "Lo spoglio", dove gli altri ospiti erano Vittorio Feltri e Vittorio Zucconi. Sky ha mostrato una clip del mio incontro, nel nostro film, con Silvio Berlusconi che mi offre un’intervista. Quando in seguito avevamo contattato il suo staff per organizzare l’intervista ci dissero che dovevo aver "frainteso" e che qualcosa era andato "lost in translation" (un altro riferimento giapponese).Era una bugia, ovviamente, come abbiamo dimostrato inviando loro il filmato. Così, quando a ’Lo spoglio’ mi hanno chiesto del nostro scambio ho detto che la differenza principale tra me e Silvio era che io avevo detto la verità, mentre Berlusconi aveva detto una bugia. Il presentatore ha poi chiesto a Feltri se pensava che Berlusconi dicesse bugie. Feltri ha sostenuto di avergli parlato poche volte e di non averlo mai sentito mentire. Abbastanza surreale, da parte del capo propagandista del Cavaliere. Ma allora perché i "giornalisti" dovrebbero preoccuparsi della verità? Una domanda ricorre tra il pubblico, in Italia e all’estero. Ma sembrava particolarmente sentita a Firenze. «Perché abbiamo dato così tanto spazio a Sergio Marchionne?». Questa è la versione gentile. Perché ci eravamo resi ridicoli mettendo Marchionne e la Fiat ne ’La Buona Italia’, è la forma più ostile. Ci sono diverse risposte e confesso di averle scelte di volta in volta a seconda di come potevano meglioprovocare chi poneva la domanda. La risposta più corretta, che ha convinto alcuni ma non tutti, è che il film parla di cambiamento e che abbiamo intervistato Marchionne perché all’epoca era uno dei principali innovatori italiani, deciso a rompere il sistema di contratti di lavoro nazionali gestito da Confindustria e sindacati, e determinato a trasformare la Fiat in una casa automobilistica veramente globale e moderna. Il fatto che da allora il mercato automobilistico italiano sia crollato del 30-35 per cento per via della recessione, portando Fiat a modificare i suoi piani precedenti su "Fabbrica Italia", non invalida questa scelta. E poi dice un sacco di cose interessanti. Chiaramente, però, c’era un’altra interpretazione, basata sulla memoria e sulle vecchie battaglie, dietro molte di queste domande. «Come può la FIAT essere descritta in quel modo nel tuo film dopo aver preso così tanti soldi dallo Stato italiano?» era il pensiero di fondo. E’ una domanda datata e a doppiotaglio. E’ a doppio taglio, perché negli Anni ?€˜70 e ?€˜80, quando la Fiat si giovava di un mercato italiano protetto e riceveva ingenti sussidi statali, un sacco di tali sovvenzioni serviva a tutelare l’occupazione in azienda, che è proprio ciò di cui dicono di preoccuparsi quelli che ce l’hanno con Marchionne. Chi fa queste domande pensa che la FIAT oggi debba ricevere ancora più sovvenzioni, per aiutare i propri lavoratori italiani? E’ datata perché quei giorni di protezione e sussidi si sono conclusi con il mercato unico europeo e il regime degli aiuti statali nei primi Anni ?90. Durante questa crisi economica la FIAT in realtà non ha avuto soldi dal governo italiano, ma da quello americano, in modo da poter acquistare e amministrare la Chrysler. Gli italiani non dovrebbero essere contenti che Marchionne stavolta abbia alleggerito le tasche degli americani, riuscendo peraltro là dove aveva fallito la tedesca Daimler-Benz e risollevando le sorti della Chrysler? Comeho già scritto su ’l’Espresso’, gli attacchi contro Marchionne mi sembrano davvero attacchi contro l’idea stessa del capitalismo moderno, e anche contro la stessa crescita economica. Ma non sono sicuro di poter convincere i nostri interlocutori a questo proposito. Nel bellissimo teatro di Ca ’Foscari a Venezia, la sala era piena d’imprenditori veneti, desiderosi di farci credere che la rinascita economica italiana potrebbe benissimo cominciare da lì. Eppure, ecco altre domande su Marchionne risuonare sordamente sotto il soffitto affrescato, opera di un passato in cui operava un soddisfacente capitalismo globale. Il punto cruciale di ’Girlfriend in a Coma’ è che si tratta di una joint venture anglo-italiana. Utilizza questo narratore inglese, e il suo punto di vista da straniero per guardare all’Italia e ascoltare le spiegazioni degli italiani, ma è diretto da un’italiana, Annalisa Piras, che da vent’anni vive fuori dall’Italia. Così lei porta la sua conoscenza dall’interno, cosìcome il suo amore per il suo paese, e ha anche un suo punto di vista "esterno" come esponente della diaspora italiana. Il pubblico in sala, come ad esempio la folla molto impegnata che abbiamo incontrato al Teatro Elfo Puccini di Milano, per lo più sembra coglierlo istintivamente. Ma non vale per i media, che paiono fare del loro meglio per ignorare quest’aspetto. Da giornalista so che tutti noi dobbiamo semplificare, ma continua a sembrarmi bizzarro e del tutto fuori luogo che quasi universalmente i media italiani abbiano voluto rappresentare il nostro film solo come l’opera di un inglese, o semplicemente ’di Bill Emmott’, come se il regista, la parte italiana, non esistesse. E questo sia che lo criticassero o che lo lodassero. Penso di non aver mai capito bene la ragione. Può essere frutto della misoginia e del machismo, una prova ulteriore del retroterra culturale di cui abbiamo parlato nel film con Lorella Zanardo, Emma Marcegaglia, Susanna Camusso, Emma Bonino, Se Non OraQuando e altri. Il nostro tour di GIAC era iniziato con la proiezione per gli italiani di Londra e Parigi, si è mosso in giro per l’Italia per lo più sugli eccellenti treni Frecciarossa e si è concluso, il 6 marzo, con la proiezione per la Società Italiana della London School of Economics. L’auditorium alla LSE era stipato da oltre 260 persone, molti seduti sulle scale o in piedi in fondo, senza dubbio con una motivazione in più data dalla situazione post-elettorale e dall’ascesa di Beppe Grillo. C’era un senso di eccitazione, ma anche di trepidazione per ciò che potrebbe emergere dalla nuova situazione politica. E’ del tutto nuova anche per lui, abbiamo sottolineato, quindi probabilmente nemmeno Grillo sa cosa farà a cercherà di ottenere. L’unica apparizione di Grillo in Girlfriend in a Coma è là dove si parla della diaspora italiana, dei sentimenti dei giovani emigranti italiani che dice di aver incontrato in tutto il mondo. Una grande idea proposta durante il nostro dibattitopost proiezione a Ca ’Foscari dal rettore, Carlo Carraro, è che Grillo dovrebbe pensare a sollecitare la creazione nel nuovo governo di un "Ministero della Diaspora". Strutture di questo tipo esistono in molti altri governi in tutto il mondo e sarebbe assolutamente sensato avere qualcuno che cerchi il modo di rientrare in contatto con questo enorme numero di italiani di talento, molti dei quali istruiti a spese dei contribuenti italiani, per metterli in collegamento tra di loro e con la madre patria. Quelli di Londra, Oxford, Bruxelles, Parigi, New York e Miami a cui abbiamo mostrato il film sono già stati ricollegati in un certo senso, in un modo che è riapparso alla LSE. E’ nella risposta a questa domanda: a parte il finale, quale parte del film richiama l’applauso più forte? La risposta, per i nostri spettatori della diaspora, è il commento di Massimo Banzi, co-fondatore del progetto open source hardware Arduino di quello chi succede se si fa qualcosa di nuovo o di buono inItalia. Suscita sempre gli applausi dei giovani italiani che evidentemente si sentono arrabbiati e frustrati perché hanno la sensazione che i loro talenti non siano apprezzati in casa. E’ buffo, ma la stessa cosa mi è stata detta durante un’intervista per il mio libro da un certo Sergio Marchionne. Se avessi inserito quella frase nel film, però, non sono sicuro che avrebbe riscosso lo stesso consenso. Bill Emmott
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