Grecia, una nuova Moneta Fiscale per uscire dalla crisi
 











La Grecia è il paese dell’Eurozona che è stato colpito in maniera più dolorosa e profonda dalle gravi inefficienze dell’attuale eurosistema e dalla crisi economica che ne è derivata. Nel 2012, il debito pubblico greco è stato sottoposto a una pesante ristrutturazione, con stralcio del valore facciale, riduzione degli interessi e allungamento delle scadenze. I creditori privati sono stati rimborsati per la parte residua, e attualmente il debito è pressoché interamente detenuto da organismi sovranazionali (principalmente dal Fondo Monetario Internazionale, da agenzie dell’Unione Europea e dalla BCE). La Grecia paga interessi a un tasso medio intorno al 2%, non ha significative scadenze di rimborso del capitale ancora per alcuni anni, e non colloca titoli di debito pubblico sul mercato.
La ristrutturazione del 2012 non è però servita a permettere il recupero dell’economia greca. La troika FMI – UE – BCE ha insistito sull’adozione di pesantissimemisure di austerità (tagli di spesa e incrementi di tassazione) allo scopo di aumentare la sicurezza del rimborso del debito residuo. Una linea d’azione sbagliata, in quanto occorrevano invece risorse finanziarie per rilanciare la domanda interna e la competitività delle aziende (principalmente tramite riduzioni, non aumenti di imposizione fiscale). Si è trascurato il basilare principio a cui si deve conformare ogni operazione di ristrutturazione finanziaria per avere successo: occorre preservare e migliorare, e non certo abbattere, la capacità del debitore di produrre reddito.
Il prossimo 29 dicembre si svolgerà l’ultima votazione per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica ed è possibile che il quorum di 180 voti parlamentari su 300 non venga raggiunto. Sulla base della Costituzione greca, questo comporterebbe lo scioglimento del Parlamento e nuove elezioni politiche, da tenersi probabilmente entro febbraio 2015. Presumibilmente saranno il 25 gennaio. I sondaggi prevedonoche la maggioranza relativa sia ottenuta da Syriza, partito anti-austerità e anti-troika.
Attualmente il PIL greco è pari a circa 180 miliardi di euro, il debito pubblico a 320, il deficit a 3,5 miliardi, risultanti da circa 3,5 miliardi di saldo primario e da pagamenti di interessi per 7 miliardi.
La posizione di Syriza è di non abbandonare l’euro, ma di ottenere una forte, ulteriore, ristrutturazione del debito, con una richiesta di stralcio fino al 70-80%. A partire da questa richiesta, un negoziato potrebbe arrivare a concordare uno sconto, per esempio, del 50%. Questo intervento corrisponderebbe a una riduzione del debito da 320 a 160 miliardi e, a tassi invariati, dimezzerebbe il costo annuo per interessi, portando il bilancio pubblico in pareggio.
Si tratterebbe di un’importante boccata d’ossigeno, però continuerebbero a mancare le risorse per effettuare le politiche economiche espansive che sono necessarie per invertire la dinamica del PIL: dal 2007 la Grecia ha persocirca un quarto del suo PIL in termini reali, vale a dire una riduzione di 60 miliardi di euro. Queste risorse potrebbero provenire dall’assegnazione di Certificati di Credito Fiscale (CCF), ovvero dall’emissione di una moneta statale / fiscale, parallela all’euro.
I CCF sono un elemento chiave del progetto descritto nell’appello che è stato concepito con riferimento alla situazione italiana ma che è adattabile a tutti gli stati membri dell’Eurozona.
Il progetto prevede di assegnare gratuitamente a una serie di soggetti, come meglio precisato nel seguito, questi Certificati, che a partire da due anni dopo l’assegnazione originaria sono illimitatamente utilizzabili per pagare tasse e qualsiasi forma di obbligazione finanziaria nei confronti della pubblica amministrazione dello Stato emittente (compresi contributi sanitari e pensionistici, imposte locali, multe eccetera).
Nel caso della Grecia, le assegnazioni potrebbero ammontare a 20 miliardi il primo anno, da incrementare poia 40 miliardi il secondo e a 50 il terzo, rimanendo poi costanti a quel livello.
Le assegnazioni sarebbero suddivise in tre componenti principali:
- integrazioni di reddito ai lavoratori;
- erogazioni alle aziende per ridurre il costo effettivo lordo del lavoro (recuperando quindi competitività ed evitando di creare squilibri ai saldi commerciali esteri);
- altre azioni di sostegno della domanda: spesa sociale, investimenti pubblici eccetera.
I CCF sono di fatto una “quasi-moneta fiscale”: “quasi” poiché la loro utilizzabilità è differita di due anni rispetto all’assegnazione. Sono, tuttavia, liberamente trasferibili e negoziabili – l’assegnatario li può quindi cedere a un altro soggetto (che sa di dover effettuare pagamenti di verso lo stato in futuro) con uno sconto finanziario. Le assegnazioni di CCF equivalgono, di conseguenza, a un’introduzione, a titolo gratuito, di nuova capacità di spesa. Un programma di immissione, intensa e sostenuta, di CCFprodurrebbe quindi spesa per consumi, riattiverebbe l’attività produttiva e migliorerebbe la qualità di credito di aziende e privati, incentivando anche la ripresa dei prestiti bancari all’economia.
Ipotizzando un moltiplicatore fiscale un po’ più alto dell’unità (ipotesi che nelle attuali condizioni economiche è persino conservativa) a regime si recuperano i livelli di PIL pre-crisi. Inoltre aumenteranno le entrate fiscali in euro e, tenuto conto che i CCF sono utilizzabili con due anni di differimento, nel primo periodo dell’applicazione del programma il governo greco avrà un saldo positivo tra incassi e pagamenti in euro.
Questo saldo potrà essere accantonato a garanzia di eventuali deficit di bilancio pubblico che dovessero crearsi nel momento in cui l’ammontare a regime dei CCF in circolazione verrà utilizzato per pagare imposte. Ciò avverrà solo al quinto anno (al terzo si raggiunge il livello a regime delle assegnazioni, e le assegnazioni del terzo anno non potranno essereutilizzate prima del quinto). In effetti, anche assumendo ipotesi molto cautelative, si tratta di una garanzia che risulterà superflua: tuttavia la sua esistenza darà ai partner europei e ai mercati finanziari alti livelli di fiducia in merito al successo dell’operazione.
La Grecia può, in questo modo, recuperare i livelli di PIL reali pre-crisi (240 miliardi di euro), riassorbire gli attuali, altissimi, livelli di disoccupazione, e tornare su un percorso di sviluppo equilibrato e sostenibile.
Il debito pubblico, nell’ipotesi di uno stralcio iniziale del 50%, sarebbe pari come detto a 160 miliardi, ovvero a circa il 67% del PIL, e sussisterebbero livelli molto alti di affidabilità in merito al suo rimborso finale. Al contrario, proseguendo con le attuali linee di politica economica (austerità / troika / memorandum) il debito in essere è destinato a subire un default pressoché totale.Marco Cattaneo-micromega









   
 



 
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